martedì 30 dicembre 2014

Il Presente non Conosce Colpe. In Meditazione con Marco Canestrari

DI FAUNO LAMI


Negli anni ho imparato a conoscere moltissime cose su di me, accumulando sempre più informazioni preziose. Così ora posso dire di conoscere le mia qualità, i miei difetti, i miei gusti, i miei sogni, i miei traumi e le mie paure. Ho sempre cercato di apprendere il più possibile su di me, sperando che così facendo magari un giorno sarei arrivato a sapermi proteggere da qualunque sofferenza. Dopo tanti anni quel giorno non è ancora arrivato. E intanto io accumulo. Accumulo. Accumulo.

Oggi, durante questa piovosa giornata, sono uscito a meditare con Marco al parco di Veio. Lo incontro di fronte ad una bellissima cascata, dove ci fermiamo per un attimo in un lungo silenzio, prima di iniziare a camminare. Dopo una breve passeggiata lo sento dire fra sé e sé: Io in questo momento non so chi sono”. Mi risuona subito come una frase molto strana, soprattutto detta da un maestro spirituale! Non dovrebbe forse essere lui ad insegnarci chi siamo e cosa abbiamo dentro? Continuo ad ascoltarlo. “Ora non ho alcuna certezza. Non so chi sono, cosa sono, né cosa è giusto. Perciò non posso sbagliare.” “Come no? – dico io – Se una persona non ha uno schema del giusto e dello sbagliato, sbaglierà molto di più degli altri, sarà più colpevole!Ma come fai a riconoscere un’azione giusta? mi chiede Marco “Per riconoscerla, devi per forza fare il paragone con un’azione sbagliata. Se io ad esempio aiuto una vecchietta a portare la spesa, posso definire questa azione ‘giusta’ solo paragonandola ad un’altra un po’ meno giusta, come ad esempio quella di rubarle la spesa.” Ci rifletto. Effettivamente non riesco a pensare a nessuna azione che sia assolutamente corretta, senza avere un paragone che mi faccia pensare ad un eventuale errore. “Se faccio una buona azione” continua lui “ciò implica per forza l’esistenza del male, dello sbagliato e della colpa. Noi cerchiamo di vivere facendo delle azioni corrette e ciò facendo creiamo anche l’idea delle azioni malvagie. Creiamo uno schema di pensiero in cui possiamo sbagliare e ci sforziamo di seguirlo, poiché esistono delle brutte azioni. Se io invece avessi la mente libera, se nella mia mente non ci fossero concetti di malvagità o di colpa, allora interpreterei gli stessi identici gesti con purezza, senza colpa. Stiamo permettendo al male di entrare nella nostra mente, e quindi nel nostro mondo. Perché? Vogliamo continuare a farci del male in questo modo?

Ci rifletto mentre passeggiamo sotto l’acqua tra le verdi colline di Veio e ricordo di avere spesso desiderato un mondo così. Un mondo pulito, immacolato. Un mondo di errori magari, ma senza colpa. Come se ogni sbaglio fosse visto come una leggera svista fatta sempre in amicizia, senza pesi e senza rancori. Sbagliare senza che nessuno si offenda, nemmeno noi stessi. Che assurda leggerezza.

Non soffri?” gli chiedo. “Non lo so” risponde lui ridendo “non ti dico né sì, né no, perché non ho ancora controllato. Può anche darsi, fammi vedere. No, direi di no. Non vedo nulla che possa chiamarsi sofferenza. Cosa è?” “Una cosa brutta, non te la consiglio” gli rispondo, e ridiamo. “Io qui non vedo nulla che possa chiamarsi sofferenza” mi dice “Ho il ricordo di essa. Ricordo anche di aver detto di soffrire in passato, ma ora non direi proprio.” Allora provo a spiegargliela. Gli stupri, gli scippi, l’odio, le colpe... E lentamente diventa chiaro come ogni mio dolore si basi su di un vecchio preconcetto. Infatti per ogni sofferenza devo anche inventarmi un ‘sofferente’, qualcuno che soffre. Allora devo necessariamente spiegargli anche che io mi trovo contemporaneamente in un corpo e in un’anima, che sono vivo ma potrei morire, che posso essere offeso e che il mio cuore può essere ferito. Queste sono tutte frasi in cui credo. Frasi che mi sono state ripetute e che ormai anche io mi ripeto da una vita. Ma mi rendo sempre più conto di quanto siano contraddittorie e di quanto sia difficile anche solo volerle sostenere. “Sai tante cose di te” mi dice allora Marco “Io queste cose non le so. E così a prima vista non mi sembrano neanche vere. Mi sembra più che altro una brutta storia che ti ripeti.

Marco dice di non conoscere niente, nemmeno la sofferenza. E forse è proprio per questo che può insegnare a guardare la vita come se fosse la prima volta, lasciando andare quei fardelli che abbiamo avidamente raccolto con il trascorrere degli anni e che ora, appesantendoci, ci impediscono il volo. Basterebbe capire che ciò che possiamo conoscere è esclusivamente il passato. Ed il passato, comunque lo si guardi, è sempre macchiato dalla colpa. Proprio per questo un uomo legato al suo passato porterà sempre con sé il pesante spettro della colpa. Ora però sta a noi scegliere: vogliamo confermare il nostro passato, assieme a tutto ciò che già conosciamo, oppure vogliamo rischiare un salto fuori dalla scatola, vedendo che tutto ciò che abbiamo da perdere è la nostra colpevole sofferenza? Finora l’uomo ha sempre dato una grandissima importanza alla conoscenza. Oggi più che mai risulta evidente, basta dare uno sguardo alla meccanica società che abbiamo creato. Ma forse è arrivato il momento di tirare le somme, per capire se abbiamo dato la giusta priorità alle nostre vite. Siamo avanzati tecnologicamente, sappiamo spostarci con più facilità, abbiamo cibo in quantità e viviamo in edifici altissimi. Ma siamo anche più felici? A cosa mi serve conoscere tante lingue, se non coltivo la gioia nel mio cuore? E a cosa mi servono le lauree, se non amo il mio vicino? Io e Marco ci salutiamo. Si è fatto tardi e lui deve prepararsi per il lavoro. Prima di andare via ripasso davanti la cascata e per qualche minuto lascio che il suo rumore accompagni i miei pensieri. Poi lentamente mi rimetto in viaggio verso casa.

Cosa è successo oggi? Non ho imparato nulla di nuovo su di me. Non ho acquisito conoscenza, anzi, semmai ho perso delle convinzioni false che avevo. Eppure sono più leggero. Più felice. Allora va bene così, è questa la strada che ho scelto.

lunedì 22 dicembre 2014

Introduzione al Seminario sul Risveglio di Marco Canestrari

DI GIANPAOLO MARCUCCI


La scorsa estate si è tenuto uno splendido seminario sul Risveglio Spirituale tenuto da Marco Canestrari. L'atmosfera serena, gli argomenti profondi trattati e la grandiosa partecipazione di più di 150 persone hanno reso questo evento piacevole e preziosissimo per la crescita personale di tutti i partecipanti.

In questa introduzione Gianpaolo Marcucci ci parla del nostro progetto di felicità ed invita il pubblico presente ad abbandonare tutto ciò che ci fa male e che ci impedisce di ascoltare la voce più profonda e vera del nostro cuore.

TESTO E RIPRESE DI FAUNO LAMI

sabato 20 dicembre 2014

Perdona e sarai Perdonato

DI GIANPAOLO MARCUCCI


Ieri al corso di Risveglio è stata una lezione bellissima. L’ultima lezione dell’anno. Il resoconto completo insieme a tutto quello che sta accadendo qui a Roma verrà inserito nel libro “Cronaca di un Risveglio Annunciato” in fase di stesura e sono sicuro che vi lascerà stupefatti. Oggi però vorrei condividere con voi un piccolo estratto della giornata, che mi ha riguardato da vicino. Un assaggino della meraviglia a cui assisto quotidianamente...per farvi venire un po’ l’acquolina in bocca anche a voi.

Parlerò al presente come se stesse tutto accadendo ora per rendervi tutti più partecipi!

La lezione è cominciata, Marco ci dice che è qui per noi e che è richiesta la nostra attività, è richiesto un desiderio. Fauno è il primo a parlare. Accade quasi sempre che lui è il primo, lo ammiro molto per il questo, prima lo invidiavo, ora lo ammiro, così mi avvicino a lui e imparo.

Fauno e Marco parlano, il desiderio riguarda la pace, quella interiore, la serenità. Io ascolto con la testa ma col cuore sono da un’altra parte. Ho un desiderio grandissimo anche io ma mi vergogno un po’ a dichiararlo. Ho un desiderio grandissimo che però non lascia spazio a niente altro così non appena Marco chiede di partecipare di nuovo a tutti, io esco allo scoperto.

Gp: Desidero che sia tolta la colpa"

Marco: “E’ un desiderio grosso, ci stai?

Marco accetta il mio desiderio ma chiede se sto solo facendo un ragionamento filosofico, o se sono presenta alla richiesta. Questo perché nessun desiderio può essere esaudito se non è reale, se non è di cuore. Io ci sono, non sono nell’occhio del ciclone ma lo sento il desiderio, non è una richiesta razionale. Comprendo che il mio coinvolgimento per questa operazione deve divenire completo, non parziale, così raggiungo il luogo in cui la colpa è l’unico motore dei miei pensieri. Guardo le persone che mi sono accanto, quanta colpa che sento nei loro confronti, nei confronti dei miei amici, per essere stato insensibile con loro quella volta, e quell’altra ancora, per non averli amati. Quanta colpa sento verso Fauno e verso Giulia, persone così profondamente vicine a me, e quanta ne sento verso Marco. Sono nella colpa, nel peccato, nella mancanza d’amore, la mia, verso il mondo. E’ un peso così forte che schiaccia le pareti dell’ego e lo rende più vulnerabile, più instabile, meno arroccato.

M. “Quale colpa vuoi togliere?

Gp: “La mia?

M. “Solo la tua? E quella degli altri? A tuo padre la lasciamo? A Giulia? Se la lasci a qualcuno stai desiderando colpa. Come si leva la colpa? Con desiderio e azione colpevole? No! con un desiderio e un’azione magnifica, degna. Tu sei in grado di desiderare cose degne, l’hai già fatto e lo rifarai. Diccene uno. Un desiderio meritevole e degno è l’unico modo per togliersi la colpa."

Gp: “Leviamo tutta la colpa”.

M. “Quale? La tua?

Gp: “Tutta!"

M. “Tutta? Ma ti piace levare tutta la colpa? Stai di fronte a tutti quelli che incolpavi, continuano a fare quello che facevano prima, poi non li puoi più incolpare, che facciamo?

Me la sono fatta così tante volte questa domanda. Ci ho sbattuto la testa e senza avere risposta sono tornato a casa, in silenzio per secoli. Oggi lo sa risposta la so, l’ho sempre saputa.

Gp. “Li perdoniamo”.

L’emotività esplode e io piango liberamente. Li perdoniamo penso, li perdoniamo.

Marco mi invita ad andare vicino a lui, sul divano.

M. “Il perdono è un’intenzione magnifica. Classificata in questo regno fra quelle magnifiche. E’ una delle cose più simili alle attività che sono fuori, nella realtà. Allora perdoniamo tuo padre! Un po' di intenzione di perdonarlo Gianpaolo ce l’ha, è evidente. Magari non è capace a fare un perdono intero, ma un po ci sta. Ci deve stare per forza una parte buona in Gianpaolo. Nessuno può dimostrare cose diverse da questo. E quindi se c’è almeno un pelo buono in Gianpaolo, c’è l’imperativo di perdonarlo. Non deve essere tutto buono per perdonarlo. Gianpaolo adesso sta dimostrando a se stesso che è degno di essere perdonato. Voleva questo quando diceva che non voleva più la colpa. E da chi ci facciamo perdonare?

Gp. “Be, intanto cominciamo dai presenti

Marco ride.

M. “Intanto dai presenti, sarà facile"

Fauno si alza per primo. Da l'esempio a tutti.

F. “Comincio io!

E mi abbraccia. Mi abbraccia forte e mi vuole bene. Mi ha perdonato. Dopo di lui si alza diego.

D. “Nel dubbio

Ridiamo, Diego dice che mi perdona anche per le prossime volte, mi da i buoni da usare in futuro.

E' il turno di Gianmarco, un ragazzo giovanissimo appena entrato nel gruppo.

M. “Te lo perdoni?

Gianmarco: “Non so di cosa dovrei perdonarlo

Io sento un piccolo dolore, ma vedo che non è intenzione di Gianmarco ferirmi.

M. “Questa frase lui la vive come un’accusa, Gianpaolo immagina che ce l’ha la colpa, dirgli che non c’è nulla di cui essere perdonato significa volersi opporre a lui, litigare, lui invece voleva affetto. Puoi fare di meglio."

Gianmarco non fa nemmeno finire la frase a Marco, si alza e mi abbraccia. Ci conosciamo da così poco eppure mi pare che siamo nello stesso luogo da anni. Che siamo fratelli da anni.

Mancano Marco e Giulia. Marco ha già detto che vuole essere l’ultimo, ha una sorpresa per me.

Anche Giulia esita all’inizio, lei mi vuole bene ma crede che perdonarmi significa confermare la mia colpa. Mi abbraccia ma il perdono non arriva.

M. “Lo perdoni?

Giulia: “Lo perdono

M. “Di cosa?

Giulia: “Per come si tratta

Marco si rivolge a me, mi invita a uscire allo scoperto.

M. “E’ questo ciò di cui volevi essere perdonato?

Gp. “No"

M. “E di cosa?

Gp. “Di come ho trattato lei

Giulia “Io non sento di esser stata trattata male"

M. “Per perdonare non è richiesto he l’altra persona sia stata malvagia."

Giulia: “Per richiedere il perdono è richiesto"

M. "Per richiedere il perdono è richiesto che io creda di essere stato cattivo. Lui crede che è stato cattivo. Tu non devi dimostrargli che non è stato cattivo. Lui LO SA che è stato cattivo. Non ti ha chiesto quello.Ti chiede un’altra cosa che tu non stai dandogli proprio precisamente come la vuole lui. Ti chiede: come sono stato sono stato (e lui dice cattivo, tu buono, come vi pare a voi), mi vuoi bene?> Se tu non gli dici questo e vuoi parlare del fatto che non senti che lui è stato cattivo, tu hai un mondo tuo e non gli stai dando il perdono. Sta chiedendo affetto non la guerra. Gli vuoi bene?

Giulia “Si. Riperdoniamolo

Ridiamo

M. “Dai riperdoniamolo meglio

Giulia si alza e mi riabbraccia. Mi perdona stavolta, mi libera dal fardello.

M. “Qualunque cosa sia successa noi ci vogliamo bene e ricominciamo da adesso. Il passato non costituisce conflitto. Io ti voglio bene qualunque cosa credi di essere o aver fatto, perché io voglio bene a te non a ciò che credi. Il fatto che io ti voglio bene e tu mi vuoi bene adesso cancella ogni divergenza mentale, filosofica. Il perdono sancisce un inizio diverso. Se perdoniamo non stiamo confermando che la persona ha fatto qualcosa di male, ma confermiamo il fatto che non ci frega un cazzo di quello che è stato, che gli stiamo volendo bene adesso, per quello che è, non per quello che ha fatto. Non si perdona l’azione, si perdona la persona, qualunque cosa ha fatto. Lui questo ha chiesto. Non ha chiesto l’azione corretta, ha chiesto: mi volete bene?

Poi Marco si volta verso di me:

M: “E a me che avresti fatto di male?

Gp: “Mi sono arrabbiato con te

M. “Io glielo chiedo non per cavillare, ma per fare luce e far prendere aria a quello che crede.

M: “Ah! Quindi è per quello, che ti sei arrabbiato con me ed è brutto. E non potremmo arrabbiarci fra di noi, l’un l’altro, in un contesto affettuoso senza che questa cosa costituisca colpa? Perché non la includiamo l’arrabbiatura anzi che accusarla e dargli colpa? E’ una ipotesi, va decisa tutti insieme. Facciamo diventare l’arrabbiatura santa, non condannabile. In linea di massima, anche filosoficamente, l’idea è quella di vedere tutto perfetto, tutto corretto, senza colpa. Hitler, il pedofilo. Poi che succede?"

Gianmarco: “Fa un po’ paura”.

M. “Si all’uomo fa paura. In questo mondo qui poi non c'è più nessuno da impiccare, la gente poi ti guarda in faccia se non c'è più nessuno su cui puntare il dito, su cui sviare l'attenzione. io vi dico che si può fare, basta vedere quanto ci va. Ma noi ci siamo mai arrabbiati? Se diamo la colpa all’arrabbiatura vuol dire che ci siamo già arrabbiati. Ma se noi siamo tipi che si arrabbiano, come facciamo a dare la colpa agli altri. Se vedete che siete voi stessi primi a sostenere questa tesi non potete accusare gli altri che la sostengono. Come faccio a accusare Gianpaolo? Io mi sono sempre arrabbiato con lui, come fa a costituire accusa?

Marco si rivolge a me.

M. “Tu mi chiedi di perdonarti perché ti sei arrabbiato con me. Ma anche io sono stato spesso arrabbiato con te. Come faccio a perdonarti? Per perdonarti riguardo a questo tema, dovrei essere pulito. Come faccio? Spiegami, io ce l’ho questa buona volontà..."

Mentre Marco parla rido, ho già capito tutto, qui è richiesta una azione da parte mia, io devo perdonare prima Marco. Mi rimbocco le maniche della camicia col sorriso come simbolo di impegno, come per dire che ci metto la faccia, lo interrompo e gli faccio cenno di venire tra le braccia:

Gp: “Viè qua!

Ci abbracciamo.

M. “Lui con me ha fatto doppia azione. Mi ha pulito e mi ha permesso di perdonarlo per la sua arrabbiatura. Il perdono è una lezione sul dare non sul ricevere. Lui può ricevere perdono solo se si perdona lui. Ma visto che per l’ego in questo mondo è infattibile, ci sono gli escamotage. Si leva la nebbia che fa guardare fuori e poi si mostra come e dove sta lavorando fuori. Tu (rivolgendosi a me) hai fatto un sacco di azioni degne, sei meritevole di perdono. Anche il peggio assassino, se dentro ha un filetto di cuore, dobbiamo andare li e salvarlo. Questa è l’azione corretta. Invece dargli fuoco e impiccarlo non è l’azione corretta, creiamo solo due assassini così. Gianpaolo oggi si è guadagnato un biglietto per la libertà. Qui le filosofie le mettiamo in pratica.

Oggi ho chiesto, ottenuto e dato il perdono. L’ho conosciuto, visto, sentito. Ho imparato che non si può chiedere il perdono se non si è prima perdonato. Ho imparato che perdonare non significa confermare la colpa e il danno. Perdonare significa azzerare tutto, ripartire da un abbraccio. Perdonare significa dire: qualsiasi cosa tu pensi di aver fatto, per me siamo di nuovo a zero, ti voglio bene.

Il perdono è un atto di affetto. Negarlo significa negarlo a se stessi. 

domenica 14 dicembre 2014

Dalla Mente al Cuore: In Viaggio con Marco Canestrari

DI DIEGO DE NEVI


Scrivo questo articolo spinto dalla voglia e dal piacere di condividere con tutti voi i benefici che ho avuto da una seduta di aiuto individuale in meditazione con Marco Canestrari. Riconoscendo l'importanza e il valore di ciò che ha fatto per me, vorrei che da queste mie parole si percepisse la profonda gratitudine che provo nei confronti suoi e di quello che ho ricevuto.

La prima cosa che ho percepito in questo "viaggio meditativo" con Marco è stata l'importanza della nostra volontà nel lasciarsi aiutare, nell'uscire dal guscio. Noi mettiamo il limite oltre al quale non vogliamo scendere in profondità, oltre il quale non andare a guardare. Un aspetto che sicuramente è di fondamentale importanza nell'aprirsi è il sentirsi protetti, tranquilli. Fa davvero la differenza nel passare da un piano puramente razionale ad uno emotivo. Un primo e decisivo passo emotivo lo faccio dopo aver tentato un piccolo gesto di affetto verso Marco che mi chiede "Perché solo un pochino? Perché ti trattieni? Semmai è quella la parte da incoraggiare". E' un grosso colpo, stavo trattenendo le cose belle, amorevoli! Non appena si inizia ad abbandonare il livello razionale ci sente un po' dispersi e qui Marco è fondamentale per non perdersi, non andare a chiudersi in un vicolo cieco. La nostra volontà appare come quella di volerci infilare in qualche angolo della mente, in mezzo alla vecchia e "confortevole" sofferenza. Utilizzo la parola confortevole perché noto che come ho degli "sblocchi" verso la felicità, torno subito indietro. Marco chiede se siamo dei nostalgici del dolore? Sembra di sì. La sofferenza non ci piace eppure non vogliamo abbandonarla. Il processo sembra essere un ricontrollare 800000 volte prima di abbandonare la sofferenza. Tutto ciò mi risulta piuttosto assurdo, ma pare proprio essere così. Avevamo iniziando la meditazione dicendo: "La felicità ci piace, la sofferenza no. La libertà ci piace la schiavitù no. Tutti d'accordo? - Sì!" Ora però non ne sarei così sicuro. Ma davvero abbiamo i dubbi su queste cose? Cosa stiamo sostenendo? Che ci piace la sofferenza? Mi sento confuso. Ma la sofferenza, la paura non mi piacciono. Così insieme a Marco vado sempre più in profondità, volendo togliermi una paura dallo stomaco che proprio non mi piace.

Andando avanti, mentre scanso macigni su cui da solo mi sarei fermato credo anni, arrivo ad un punto, dove Marco mi chiede se voglio levare la paura, mi offre la possibilità di farlo adesso. Rimango fermo qualche secondo e poi dico “togliamola”. Ma come? Hai tentennato quando ti è stato chiesto di togliere la paura? Dopo anni a lamentarsi della paura, a dire che è brutta, viene data la possibilità e tentenno? È scioccante, una bomba che esplode dentro. Cosa posso dire dopo questo avvenimento? Di che cosa mi posso lamentare? Non so e non credo di poter affermare niente in questo momento. È una bella gatta da pelare per la mia mente, che non sa più a che cosa appigliarsi. È come trovarsi a nudo. A chi do la colpa ora? Chi accuso? Con chi me la prendo? (Ho la sensazione di stare sbagliando su tutto ed è molto ricorrente). Con me, ci sono altre persone nella stanza, che condividono questo viaggio. Stiamo tutti sulla stessa barca. Si aggiunge a noi un altro amico, a cui viene spiegato brevemente cosa era successo fino ad allora. I dialoghi con lui suonano strani, sembra che non ci stiamo capendo. Siamo andati molto in profondità e vedere lo stato in cui anche noi eravamo poco prima, quello normale, chiamiamolo ordinario, ci lascia perplessi. Ci si rende conto della strada fatta. Di come siamo passati da un livello molto razionale ad uno molto più emotivo. Vicino a noi.

Per la prima volta molte delle parole di Marco hanno un senso. Sono vere e le vivo. Non sono solo discorsi razionali più coerenti dei miei, per quanto spesso incomprensibili. Sono in profondità, sento le cose più nitidamente, vedo meglio. Non ho una visione chiara, ma molte cose sembrano assolutamente evidenti. Le nostre richieste sono emotive, si vede. Si parla di dare e chiedere amore. Non importa quale sia il contenuto della frase. Vedo persone chiuse in loro stesse, perse nei loro pensieri, che soffrono e fanno domande razionali di cui a loro non importa nulla. Guardano nella mente, non verso il cuore. Eppure è da lì che viene la richiesta. A volte si parla di cose lontane nel tempo e nello spazio, ma la richiesta affettiva e qui, vicina e presente. Marco ascolta tutti, accoglie, parla e spiega. Varie parole in varie forme, ma ora lo vedo: sta solo dando affetto, volendo bene. Vedo i miei amici e vorrei scrollarli e dire: "No ragazzi, vi state sbagliando. State guardando da un'altra parte, vi nascondete.” Voglio, sento la necessità di condividere qualcosa con loro: "Quello che ho imparato oggi è: vogliamoci bene". Vedo che ci chiudiamo soli nei nostri castelli, pensando che se mi tengo qualcosa per me sarò più felice. In realtà stiamo sostenendo che la solitudine, la separazione, a sofferenza è bella. Ma che stiamo dicendo? No, no, no. Ci stiamo sbagliando. La sofferenza, la solitudine non ci piacciono. Guardo: Marco sta insegnando questo. Siamo alla scuola dell'ovvio. Come dei bambini il primo giorno di scuola. Non scherzo: circoli filosofici sul risveglio, complicate astrazioni mentali, dibattiti sulle differenze fra 6° e 7° piano astrale e poi l'insegnamento è "La sofferenza non ci piace, ci fa schifo, è brutta". Ma davvero stiamo valutando questo punto? Sì. Nelle parole diciamo altro ma nella pratica diciamo che la sofferenza ci piace e la libertà è brutta. Ho letto decine di libri sulla psicologia prima e sulla spiritualità e mi rendo conto che il discorso è solo questo. Che botta. Mi sento di voler dare affetto a Marco, lo voglio ringraziare. Questo non è un di più, lo sento come un aspetto fondamentale.

Mi guardo attorno e noto che siamo creature sensibili, molto più di quello che immaginavo. L'unica cosa che vedo con chiarezza è che non posso ferire un altro senza stare male io e così come non posso dare qualcosa ad un altro senza guadagnarci io. E prestatemi attenzione per favore, parliamo di emotività, di cose di cuore. Gli oggetti nella materia possono essere simboli, non ciò che è importante. Se un bambino ti regala una pietra a forma di cuore è un valore enorme, che ovviamente non è nella pietra in sé. Non faccio lo spiritualista che disprezza la materia, dobbiamo capirci, ma semplicemente sarebbe cosa ottima porre l'attenzione sul fatto che una colata di cemento non può riempire un bisogno emotivo. E come non lo fa il cemento, non lo può fare un'altra cosa materiale. Non la sto giudicando male, è proprio che non può! Io vorrei insistere su questo punto. Non che accumulare ricchezze, togliendo qualcosa agli altri (tanto per fare un esempio famoso) sia male, è che non ci rende felici. Siamo felici se condividiamo. Se ci vogliamo bene, non se ci creiamo degli idoli di metallo. Da che parte vogliamo stare? Da quella dove stiamo tutti bene e siamo felici o in quella dove ci mettiamo soli a soffrire? E non sto parlando di un discorso mentale su un "devo cercare di essere buono, di voler bene", ma di un'esigenza reale che sentiamo dentro di noi.

Un ultimo messaggio che vorrei si propagasse è che davvero non è richiesto nulla per le procedure di risveglio. Non ci servono lauree per volerci bene, è tutto molto più semplice di quello che ci immaginiamo. Avevo iniziato la meditazione pensando di andare a fare l'esperienza mistica (una cosa egoica che non c'entra nulla), invece poi ho sentito solo una forte spinta alla condivisione e all'uscire all'aperto. E se anche vogliamo rimanere chiusi in casa, non è un problema.

"La nostra volontà è santa, ma la verità è intoccabile"
(Marco Canestrari)

venerdì 12 dicembre 2014

Quali saranno i vostri più grandi rimpianti sul letto di morte?

DI GIANPAOLO MARCUCCI


Quando ho letto questo l’articolo, ho avuto una reazione che mai mi sarei immaginato!

"Quali saranno i vostri più grandi rimpianti sul letto di morte?

Un’infermiera australiana ha raccolto le ultime parole di moltissimi malati terminali per settimane e ha stilato un elenco dei rimpianti più diffusi:

5. Vorrei essere stato capace di rendermi più felice.

4. Vorrei esser rimasto in contatto con i miei amici.

3. Vorrei aver avuto il coraggio di esprimere i miei sentimenti.

2. Vorrei non aver lavorato così duramente.

1. Vorrei aver avuto il coraggio di vivere una vita come volevo io, non quella che gli altri si aspettavano da me."

Non mi sarei mai aspettato di leggere un testo del genere e…ridere!

Ho riso, ho riso a crepapelle. Non è stata la paura di morire la sensazione che ha preso il sopravvento come io stesso mi aspettavo, bensì la contentezza di star investendo nelle cose che per tutti, nel profondo, contano. Il tempo libero, la libertà, gli affetti, gli amici, la felicità! Ho l’enorme fortuna di avere una sensibilità che mi ha portato a conoscere Marco e ad intraprendere con lui un percorso di consapevolezza e risveglio spirituale e per questo dico GRAZIE

Fratelli, non viviamo una vita a metà, piegata dai compromessi e inquinata dai rimorsi! Amiamo e siamo felici! Mettiamo in dubbio quello che ci dicono tutti, che ci dice la società: che bisogna lavorare, essere ricchi, essere conformi alle regole, controllare i sentimenti, leggere le istruzioni. Ci hanno fatto senza istruzioni! Controllate.

Venite a trovarci a Roma, nella sede che stiamo creando. Io ve lo dico con affetto. Qui si sta facendo qualcosa di grande, non avrei mai pensato di dirlo ma adesso che ho anche preso tutte le lauree e le cose che si prendono per essere credibili, che mi sono vestito elegante e ho scritto i libri, lo posso dire…stiamo facendo qualcosa tipo (ma sicuri che si può dire?) "Gesù e gli apostoli". Insomma, roba forte. E pensare che io ero ateo e ultra-razionale. Siate curiosi, come lo sono stato io. Dentro la tana del Bianconiglio scoprirete un mondo con dei colori di cui l’arcobaleno che conoscete ora non è nient’altro che un piccolo spicchio, uno spicchio di una torta nuziale a 7 piani.

Venite, non ve ne pentirete