DI LUCA
Soffermiamo la nostra attenzione non tanto sugli aspetti strutturali o storici del lavoro né sui rischi che può comportare alla salute, ma su come il lavoro influenzi l’uomo e lo sviluppo della sua personalità. Se pensiamo alla persona non possiamo prescindere da non rilevare che, già agli inizi del secolo scorso, si indicavano come parametri di normale funzionalità del soggetto, le capacità di “amare” e di “lavorare”. Come a dire che l’amore e il lavoro sono ugualmente alla base dell'equilibrio psichico.
Dunque il lavoro non risponde solo all'esigenza di guadagno. Certo, il danaro libera dai bisogni materiali, peraltro di relativa facile acquisizione in una società organizzata dove funzionano servizi di assistenza sociale, associazioni di volontariato, sussidi di disoccupazione, ecc. Nella nostra cultura anche il danaro ha soprattutto una valenza simbolica. È un indicatore di successo. L’uomo, una volta acquisiti gli strumenti per sopravvivere fisicamente e socialmente, ha bisogno di relazioni sociali. Ha bisogno di essere accettato dagli altri e di sentirsi parte del gruppo con il quale condivide tempi e spazi della propria vita. Dal rapporto con gli altri emerge l’esigenza di differenziarsi da loro, di definire la propria individualità e di farla rispettare. La contrattazione della salute e sicurezza come del salario, dell’orario, dell’inquadramento, sono indispensabili e possono richiedere la conoscenza di particolari elementi relativi al lavoro, alla divisione del lavoro e all’organizzazione del lavoro; questo a partire dai cambiamenti dei mercati per effetto della nuova divisione internazionale del lavoro detta “globalizzazione”, dalle trasformazioni tecnologiche e informatiche della fabbrica e delle reti produttive. La qualità e quantità del lavoro e la sua valorizzazione dipendono ancora dal progetto e dall’evoluzione della divisione del lavoro, dal disegno organizzativo con i relativi rapporti funzionali, gerarchici e di discrezionalità fra i lavoratori, dall’accresciuta complessità dei prodotti e dei processi e dal livello di conoscenza ed esperienza necessari. Inoltre oggi dobbiamo fare i conti con una percezione “moderna” del lavoro la quale sembra averlo emarginato come valore soggettivo e sociale, in questo modo c’è un diverso rapporto con il lavoro, in relazione al punto di vista, da parte di chi lo svolge e lo vende, di chi lo osserva, di chi lo compra e di chi lo comanda.
Il lavoro umano viene normalmente percepito dai lavoratori stessi e dai rappresentanti sindacali come una struttura poliedrica formata da superfici che riflettono concetti diversi a volte complementari, contradditori o sconnessi; l’insieme di questi concetti ci rimanda ad una struttura complessa che rappresenta appunto un puzzle i cui elementi hanno una loro “vita” propria, ma nell’insieme mostrano un tutto del soggetto e le connessioni delle parti le quali sono variabili, dinamiche e soggettive in relazione al supporto umano che le contiene. L’uomo, nel lavoro, porta tutti i suoi bisogni di persona e puntualmente il lavoro glieli soddisfa. Gli dà una relativa sicurezza economica, lo fa sentire parte della struttura, gli dà visibilità e potere sociali. Gli conferisce uno status socialmente riconosciuto e apprezzato. Infine gli consente di esprimersi in quello che fa. In Italia se una persona non svolge un’attività contrattualmente riconosciuta, non viene considerata parte della “popolazione attiva”. L'uomo lavoratore, si concentra sugli elementi essenziali della condizione di lavoro che sono relativi alla occupazione, nel senso della garanzia del proprio posto di lavoro, al salario professionale e agli orari, e ha, normalmente, un’ attenzione molto ridotta su altri problemi che influenzano gli elementi primari della condizione di lavoro, quali l’organizzazione del lavoro, la formazione professionale, la prestazione individuale e la salute e sicurezza, perché queste sembrano tematiche più alla portata delle rappresentanze sindacali che però determinano pesantemente la condizione complessiva del lavoratore. Questi elementi complementari rappresentano un territorio di lavoro specifico della professionalità sindacale di quei lavoratori che in fabbrica e fuori si assumono la responsabilità di rappresentare le lavoratrici e i lavoratori.
Quanto non appena accennato ci dà il senso del perché nel mondo del lavoro si consumino tanti drammi di umana sofferenza. A maggior ragione il sentimento di perdita è più forte nei soggetti che, in maniera subdola e spesso del tutto imprevista, si trovino esclusi dal lavoro. Dequalificati, vessati, isolati, quando non addirittura derisi e/o attaccati nella loro reputazione professionale e personale. La perdita non è solo del lavoro, ma è tutto il sentimento di sé che viene messo in crisi. All’avvilimento per l’esclusione dal lavoro e dallo spazio sociale in cui si svolge, spesso si associa una forma di auto-isolamento che può divenire un vero e proprio isolamento anche dalla società. Non è infrequente, infatti, che si registrino condizioni di “doppio mobbing”. Non sono casi di mobbing, ma rappresentano un disagio forte dovuto alla precarizzazione del lavoro che impedisce il progetto del proprio futuro, agli obiettivi organizzativi sempre più pretenziosi, alla scarsa valorizzazione delle risorse umane, alla mancanza di una visone etica del lavoro. Un malessere che non ha sbocchi per rendersi visibile e che utilizza gli sportelli del mobbing per rappresentarsi. Un malessere con cui gli operatori della prevenzione dovranno confrontarsi nel tempo a venire. Almeno fino a quando il lavoro non avrà trovato un nuovo assetto.
La costruzione del punto di vista del lavoro è elemento essenziale per creare una identità individuale, collettiva e solidale del soggetto lavoro che nel contesto produttivo crea il valore aggiunto con il quale è possibile realizzare una contrattazione d’insieme delle condizioni di lavoro e in particolare di quelle che riguardano la salute e la sicurezza nel posto di lavoro.