DI VALERIO PASSERI
Quando ci sentiamo minacciati da qualcuno o qualcosa, l’istinto comune è quello di cercare rifugio assieme ad altri che condividono la nostra stessa paura o i nostri stessi interessi. Immaginate ad esempio di percepire per qualche motivo, in maniera netta, la rivalità del nostro paese con un’altra nazione, risulterà quasi automatico sentirsi italiani. Se capita invece di “scontrarsi” su questioni che riguardano la vostra ed un’altra città, a quel punto sarà facile identificarsi con il proprio centro abitato.
Si potrebbe continuare con gli esempi quasi all’infinito, ma qualunque sia la fazione con la quale in un determinato momento ci identifichiamo, troviamo sempre due caratteri comuni: il sentirsi nettamente distanti ed ostili alla fazione rivale – spesso più efficacemente denominata “nemico” – e contemporaneamente estremamente vicini e solidali con chi appartiene al nostro stesso gruppo. Più l'ostilità cresce, più solidarietà e fratellanza aumentano e diventano stabili. Tutto questo lo vediamo costantemente nella scena dello scontro politico; il miglior modo per far maggiormente affezionare le persone al proprio partito, è far percepire l’altro il più ostile, minaccioso e pericoloso possibile. Minaccia e conflitto cementificano i rapporti e rendono più facilmente sopportabili e meno evidenti le contraddizioni all’interno del proprio gruppo. Quando ci sentiamo parte di qualcosa, siamo più disponibili ad aiutare i nostri compagni, siamo solidali e riceviamo solidarietà, ci sentiamo sicuri e riparati perché abbiamo costantemente la sicurezza di non essere soli. Al contrario, la società di oggi che perlopiù promuove la concorrenza più spietata nella lotta alla sopravvivenza, rende gli individui soli, lontani gli uni dagli altri, creando una forte dissonanza tra vicinanza fisica e distanza emotiva. Anche quando ci riuniamo in piccole cerchie con persone con caratteristiche o mete affini alle nostre, lo facciamo sempre contro qualcos’altro. E’ così che la bellissima esperienza di essere una volta tanto parte di qualcosa più grande di noi, viene spesso sfruttata - da chi ne ha il potere – per compiere azioni contro rivali economici, politici o di qualunque altro tipo. E’ così che si giustifica e si tiene mansueta l’opinione pubblica su una guerra che si è deciso di intraprendere dall’altro capo del mondo.
Invece di continuare su questa tendenza di riunirsi in “tribù” secondo ciò che ci differenzia dagli altri, bisognerebbe cominciare a farlo secondo ciò che ci accomuna. Anziché sentirsi italiani, europei o occidentali, ci si dovrebbe iniziare a sentire semplicemente appartenenti alla fazione degli esseri umani. Ormai il termine di “cittadini del mondo” è usato quasi in ogni settore della nostra vita, manca solo il tassello più importante, quello della consapevolezza di esserlo realmente.