Le pagine sportive dei quotidiani si occupano spesso di doping, soprattutto in seguito ai controlli a sorpresa effettuati nel corso di prestigiose manifestazioni a livello internazionale (nemmeno le Olimpiadi, che dovrebbero costituire la massima espressione della competizione agonistica leale, sono state risparmiate dall’onta del doping); ma è altrettanto vero che l’informazione mediatica in genere sottolinea l’aspetto scandalistico del fenomeno, tralasciando quello legato alle conseguenze negative che il doping ha sulla salute degli atleti.
Il problema del doping nasce con l’”humus” culturale dei nostri tempi: l’intera sociocultura è fortemente intrisa di narcisismo. Basti pensare agli effetti emulativi, richiamati e rinforzati dai mass media, esercitati dai grandi campioni sportivi del professionismo: una grande squadra di calcio, glorificata fino al giorno prima per i suoi ripetuti successi, perde una “finale” e subito si scatena il finimondo e la delusione totale dei suoi sostenitori, “bisognosi” di vincere sempre e comunque. Le cronache sono poi sempre pronte a portare alle stelle una prestazione positiva di un atleta o di un giocatore, ma anche a rimarcare pesantemente successive prove “deludenti”, come se un campione non potesse mai permettersi di sbagliare; non si può rendere poco, occorre restare sempre a livelli di rendimento elevato: questa, in sintesi, la filosofia dello sport professionistico moderno. Il problema è che, sociologicamente parlando, lo sport è ormai da tempo costitutivo dell’identità sociale di quasi tutti gli adolescenti; pochi sono quelli che non si identificano con una squadra di calcio o con un suo campione, e questo fenomeno è andato tanto più generalizzandosi quanto più abbiamo visto cadere in crisi le culture “forti” dello scorso secolo come le ideologie politiche o la religione: al loro posto sono subentrate culture “deboli”, ovvero effimere, eppure con moltissima presa sui giovani, come quelle rappresentate dal mondo della musica pop, del cinema e, per l’appunto dello sport. Si tratta però di mondi sociali “mediati”, ovvero amplificati dai mass media: non si invita tanto a fare sport o a provare a fare musica per divertimento, bensì si invita a sognare e desiderare il successo, potenziando al massimo gli effetti imitativo-suggestivi delle vicende di quei pochissimi, in mezzo alla massa, che sono riusciti ad affermarsi.
L’attuale società di massa del nostro pezzetto di mondo ipersviluppato, sempre più impegnata ad autoconservare ritmi di sviluppi sempre più difficili da mantenere in un pianeta dove, per contro, il sottosviluppo procede causando guasti e contraccolpi imprevedibili, continua a farsi portavoce di messaggi educativi contraddittori, entrambi di fatto condivisi: da un lato ci sono le norme morali, sociali e giuridiche con i valori ad esse sottesi; dall’altro c’è lo strapotere dei media perennemente bisognosi di creare audience, indifferenti alle conseguenze psicologiche e sociali che essi producono attraverso la riproposizione continua a costante di miti suggestivi ma inarrivabili come il successo nel cinema, in TV o nello sport. In questa generale contraddizione tutto (o buona parte) del dramma patologico di molti disturbi dell’alimentazione per quanto riguarda le adolescenti femmine, e delle cadute nel doping degli adolescenti maschi.
I mass media devono fare la loro parte, ad esempio potrebbe essere migliorata l’informazione sulla fine che hanno fatto certi atleti ritiratisi dalla carriera: poco si dice di molti di loro e di quanto possano essere stati rovinati dall’eventuale uso di farmaci dopanti. E poi potrebbero non dare più lo spazio che danno attualmente ad atleti “troppo muscolosi per essere veri” o a modelle “troppo magre per essere vere”. E anche gli sponsor potrebbero iniziare a dare il loro appoggio solo ad atleti che si sono sempre comportati correttamente, che non sono mai stati sfiorati dall’ombra del sospetto”.
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