Quanto segue è il resoconto di una particolare lezione di Marco Canestrari che si è svolta ad Orte il 7 e 8 giugno 2014.
Appena arrivati ci facciamo subito le foto di gruppo. Nell'aria c’è molta curiosità e sono tutti emozionati. Che ci dirà Marco di così speciale da voler venire in ritiro nella natura? Che si farà oggi e domani? La mente di tutti è impostata sul piano razionale ma, e questo non è ne un caso ne qualcosa di usuale, aperta a qualcosa di nuovo. Una selezione di 13 persone interessate e aperte al nuovo non può che dare frutti positivi, e infatti così sarà ma andiamo con ordine. La giornata promette bene, c’è il sole, il paesaggio come sempre è meraviglioso. Facciamo un po’ di scatti al gruppo e a Marco che ci serviranno per il sito nuovo che stiamo per fare e per le grafiche degli eventi futuri. Dopo le foto, tutti dentro al fresco del salone pronti per una lezione unica. Mentre tutti insieme sistemiamo la sala, Marco si ritira per alcuni minuti a meditare nella casa di pietra (la tenuta di Fauno è composta di due casolari che danno sullo stesso giardino) per poi tornare da noi.
Prima di proseguire ci tengo ad avvisare il lettore del fatto che definire lezione solo il momento in cui siamo stati ad ascoltare le parole di Marco è strettamente limitante. L’esperienza di Orte è stata una condivisione continua di felicità e insegnamenti, che è iniziata con la lezione di sabato nel salone ed è terminata la domenica al momento del ritorno verso la capitale. Per comodità chiameremo comunque “lezione” solo il tempo trascorso ad ascoltare Marco parlare per poco più di 4 ore, prima all’interno e poi in giardino tra le 14 e le 18 circa di sabato per poi dedicarci alla descrizione degli altri momenti magici, di queste due giornate.
M. "Oggi si dice la verità, poi domani fingiamo se volete”.
Questa frase rappresenta il senso di ciò che è successo in quel salone.
La lezione comincia piano, con la presentazione di chi parla che non è certo il corpo di Marco, finito, limitato, soggetto al tempo, ma un livello di consapevolezza più perfetto, più alto. Un livello che non sa nulla, non si porta nulla dietro, ne domande ne risposte, che è leggero, senza esperienza, senza passato, che nasce ogni momento. Un livello che li include tutti e che può rispondere, guardando nel presente a qualsiasi domanda.
Non passano molti minuti che tutta la platea, più o meno consciamente fa cadere sempre di più i muri dell’ego e si apre, accoglie.
M. “Fatemi mille domande, al livello in cui sto posso davvero aiutarvi molto. Domande vere, sentite, nulla di filosofico, nessuna affermazione travestita da domanda, non vi è utile”.
E le domande arrivano, ma prima arriva un ondata enorme d’affetto che Marco sceglie di indirizzare verso Fabrizio, che da Torino è venuto per cercare in lui una risposta al suo problema, ai suoi traumi, alle sue difficoltà.
M. “Vieni qui vicino a me”.
Lo prende per mano e lo porta sul divano accanto a lui dove resterà tutto il tempo della lezione (al chiuso).
“Io già ti vedo che tu pensi”, gli dice marco sorridendo. “Non pensare, non devi capire nulla, non c’è nulla da capire che non hai mai capito. Prenditi tutto questo pacco di affetto, è tuo, siamo tra amici, nessuno si sente escluso da questo regalo per te, preditelo”.
Fabrizio è commosso, non riesce ancora a prenderselo come vorrebbe, ma fa passi da gigante ad ogni minuto che passa.
La commozione avviene solo quando una persona si apre. Il pianto è visto come qualcosa di negativo ai livelli superficiali mentre è sinonimo di apertura, è sinonimo di vicinanza a se stessi, di non finzione, di sincerità. E non sarà solo Fabrizio ad aprirsi durante la lezione. Anche io mi sono commosso più volte per la forza del messaggio e in maniera coraggiosa anche Katiuscia, che porta con se la domanda che sarà “domanda del giorno”.
K: “Come si fa a dare, quando sentiamo così tanto la necessità di ricevere?”
Sento come un esplosione dentro di me. Che sincerità, come sento vere queste parole.
Come possiamo dare noi? L’uomo, che si sente di essere insignificante, che soffre se anche solo passa un bambino e gli dice che è stupido, che si vede perennemente mangiato dalla paura e dalla solitudine. Come possiamo dare noi, che siamo la banda di coloro che vogliono avere, prendere e scappare?
Marco si alza e va da Katiuscia, la abbraccia, le parla. Quello che le dice è l’inizio e la fine dell’insegnamento principale: Da dove viene la felicità? E questa la domanda di oggi, e oggi, ce lo siamo già detti, si dice la verità.
Era già successo di vedere persone piangere e aprirsi ad un solo tocco di Marco, ad una domanda o ad uno spunto. Oggi però la potenza è maggiore. Io non parlo mi metto in meditazione per un ascolto non solo razionale, in pochissimo tempo l’emozione travolge anche me.
Da dove nasce la felicità?
Ora siamo in giardino, sotto l’ombra dell’albero che si trova in una posizione centrale rispetto alle case. Le informazioni sono arrivate, vogliamo tutti la risposta alla domanda di Katiuscia che comprende tutte quelle fatte anche dagli altri e tutti quelle non fatte.
Marco è felice, si vede. la risposta non tarda ad arrivare:
M. “Mi è venuta un’idea! Ma che succede se noi, questo mondo dell’illusione, dal quale vogliamo fuggire per poi divenire spirito e salire di livello, anzi che lasciarlo distruggere e bruciare mentre saliamo e ci salviamo lasciandolo, gli cambiamo nome? Che succede se gli cambiamo i connotati e lo facciamo diventare quello che vogliamo?
Che succede se il mondo dell’illusione lo chiamiamo paradiso, o realtà?
Anzi che lamentarci che fa schifo e che siamo incapaci di migliorarlo, anzi che rassegnarci, anzi che alimentarlo nel suo essere finto e pieno di dolore e terrore, che succede se noi lo cambiamo? Dico noi, io, te, noi. La ciurma più sporca dei sette mari, senza niente in mano. Gli cambiamo nome!
Qualcuno direbbe "ma che basta solo il nome?"
Be intanto se vogliamo cambiarlo, farlo diventare il paradiso, bisognerà che gli diamo un nome che ci piace, un nome che sia l’inizio del cambiamento, che sia vincente, perché col nome -mondo dell’illusione- facciamo schifo, abbiamo perso in partenza, ci deridono tutti, non andiamo da nessuna parte.
Diamogli un nome che ci piace. E poi iniziamo.”
Il discorso sul nome pare di poco conto ad un occhio distratto ma è invece assai significativo, rappresenta una metafora fondamentale di come affrontiamo la realtà in base alla nostra interpretazione di essa. I pensieri che facciamo, le parole che usiamo e i gesti quando comunichiamo, sono specchio di uno scopo, di una visione precisa. Posso vedere la stessa persona come mia nemica da odiare e annientare per poi finalmente esserne libero (con tutta la sofferenza che ne conseguirà, la separazione, la rabbia e l’odio e quindi l’illusione di star meglio andando invece verso il peggio) oppure posso vederla come l’opportunità di meritarmi il fatto di averla salvata. Salvare il mio nemico per poi andare insieme a salvare tutti gli altri, per salire insieme di livello; sempre in più persone, sempre in più parti di un corpo unico che lavora per svegliarsi completamente. Ma dipende da come vogliamo affrontare la stessa identica realtà che abbiamo davanti e quindi prima di tutto dal nome che vogliamo darle.
Ma da cosa diamo? Dal ricevere? Da cosa costruiamo un mondo perfetto? Da cosa creiamo la felicità e il paradiso? Dal nulla? Dalla sofferenza e dalla paura in cui viviamo?
Esattamente, dal nulla, senza niente, in un mondo che non ci piace, impauriti, sofferenti, senza sapere come fare, senza attrezzi, senza nulla noi cambiamo le cose, costruiamo un mondo più bello.
E questa è una verità alta, un insegnamento profondo che vale come tutte le verità, a tutti i livelli, da quello sociale, politico ed economico e che sembra più lontano da noi a quello più psicologico, introspettivo, emotivo e spirituale che ci è più vicino. "Se non vedi persone buone intorno a te, comincia essendolo tu” qualcuno diceva.
M. “Pensate che merito!”
E già, proprio così.
Facevamo schifo e nemmeno ci piaceva fare schifo, non avevamo nulla, soffrivamo, avevamo paura, eravamo senza nulla, sparati su una spiaggia deserta, nudi e abbiamo creato una città che si auto-sostiene, un paradiso in cui c’è un pozzo di felicità senza fondo dai quali tutti attingono.
L’abbiamo fatto noi, senza sapere come, senza avere piani. L’abbiamo fatto e basta. A scuola, in famiglia, a lavoro ci insegnano tutti che non puoi fare nulla se prima non lo sai fare, se prima non hai letto un milione di libri, non hai i soldi, non hai un appoggio politico, non hai..
Ma se c’eri solo te, da solo in mezzo al deserto, senza nulla e adesso c’è tutto, la vita, la felicità, a quel punto da dove è nato tutto?
Da dove se non da te?
E’ una certezza, un merito enorme una soddisfazione senza limiti. A quel punto ti presenti al livello successivo e quando chi ti vede si ferma e ti dice: “Lei chi è?” Tu rispondi: "Io sono: guarda che ho fatto. Quello che tu hai fatto ti rap-presenta.Il merito è il tuo. Hai preso quella palla di materia, tempo, mente, dolore e paura che avevi e l’hai fatta diventare il paradiso.
E mentre Marco parla di tutto questo Brunella viene fuori con un ritratto. Osserva Marco parlare e ne delinea i tratti del volto. Un bellissimo lavoro è in corso…dal nulla.
La lezione continua con un accenno sull'importanza della volontà, del desiderio, delle idee:
M. "I corpi muoiono, ti giri passa un camion, ti prende e sei morto. Il corpo muore. Le idee invece è un casino. Quelle non muoiono, una volta avute, una volta uscite fuori e messe in circolo…li cambia tutto. Un’idea non può morire."
Sono passate molte ore, fa un po caldo, Marco si riposa. Mangiamo qualcosa tutti insieme in compagnia di due simpatici gatti e la voglia di pittura proposta da Brunella prende il sopravvento.
Lei, Federica, Laura e Daniela si mettono a dipingere con gli strumenti che l’autrice del ritratto mette in condivisione. E’ una bell’immagine che mi ricorda la spontaneità dei bambini. Nessuno ha paura o vergogna di disegnare in base alle proprie capacità.
La sensazione piacevole prosegue durante la passeggiata che decidiamo di fare verso la fonte di acqua sulfurea.
Ci incamminiamo tutti insieme e come se nulla di brutto esistesse al mondo, tutti sono felici. Nessuno che si incolpa, che si difende o che attacca, ogni tanto, timidamente, come i fiori bianchi nelle giornate molto soleggiate di Febbraio, spunta qualche abbraccio tra i partecipanti alla scampagnata.
Facciamo il percorso dell’altra volta: Campi, cascata, fonte, isolotto, ponte di sassi e campi all’inverso per tornare.
D’obbligo è la tappa alla cascata. E’ un posto così bello che a volte sembra essere sacro. Mi siedo vicino a Marco e torna la domanda della giornata “Da dove nasce la felicità?”.
Anche Fabrizio si avvicina e ci mettiamo a parlare di Piero, di come lui dall’alto della sua esperienza che l’ha visto conoscere e frequentare moltissimi maestri e Guru, moltissime vie e strade diverse, girare il mondo per il suo percorso introspettivo e spirituale sia qui con noi, in piena condivisione. E’ come se la sua presenza desse un valore aggiunto, mettesse un timbro dorato, riempisse di un colore più brillante la nostra giornata.
Qualcuno mette i piedi a bagno, qualcuno si sciacqua il viso, di certo tutti vorrebbero buttarsi nel laghetto. Proseguiamo però, abbiamo ancora molte cose da vedere prima di scoprire che il ponte da noi costruito l’altra volta, con le mani e dei ciottoli, aveva retto alla perfezione e aveva addirittura variato leggermente la conformazione della vegetazione circostante.
Tornati a casa per un riposo pre-cena, sono tutti distesi e rilassati, felici. Io e Fabrizio ci mettiamo al pianoforte, un piano a mezza-coda molto bello, e iniziamo ad improvvisare a quattro mani.
Meraviglia delle meraviglie, era sereno, l’ha dovuto ammettere, stava bene. Il rifiuto e i castelli erano crollati. Era partito la mattina molto teso, completamente ingabbiato nel suo pensiero e ora era tra noi, condivideva la felicità di tutti.
Il giorno dopo è il giorno del ritorno. Nonostante la pausa della notte, la serenità e l’armonia sono rimaste invariate. Dopo una piacevole colazione decidiamo di rilassarci un poco prima di partire per Roma così io entro in casa e decido di suonare un poco. A questo punto accade qualcosa di inaspettato. Una traduzione materiale, emotiva e di significato dell’insegnamento del giorno prima.
Mentre accarezzavo i tasti bianchi per mezzo delle indicazioni che a memoria ricordavo dei regali che il compositore Einaudi fa al mondo ogni giorno, si sono avvicinate Laura e Federica. Laura si è seduta accanto a me, sulla destra. Il seggiolino del piano di Fauno è molto spazioso, ci si entra senza problemi in tre, così ho invitato Federica a sedersi alla mia sinistra e ho deciso che avrei insegnato loro a fare un pezzetto musicale tendente al jazz con armonia, melodia e elemento di improvvisazione.
Senza pianificare ne pretendere nulla, insegno così loro a suonare nota per nota il motivetto. Non era certo un pezzo difficile ma posso assicurarvi che non era nemmeno semplice per chi non ha alle spalle almeno qualche giorno si studio di solfeggio e un minimo di dimestichezza con uno strumento. Senza indugio ci siamo districati nelle difficoltà che non venivano prese come ostacoli difficili da aggirare ma come opportunità per decidere di prendere altre strade altrettanto belle. Non c’era una strada prefissata, il territorio era tutto nostro.
Laura e Federica dimostravano grande piacere e grande impegno nell'imparare e io mi sentivo decisamente motivato, così in pochi minuti abbiamo lasciato la fase di preparazione e ci siamo messi a suonare insieme.
L’asticella della felicità si era alzata già di un bel pezzetto…ma non era sufficiente. Volevo di più! Bisognava infiocchettare quel momento, renderlo unico, così dopo l’ultima suonatina condivisa, ho deciso di invitare tutti ad entrare per assistere al “saggio di musica”.
Tutta la ciurma si siede così nella sala mentre le ragazze escono e vanno nella stanzetta che era nel frattempo diventata la quinta teatrale.
Il pubblico applaude l’inizio dello spettacolo. Le due pianiste entrano in scena. Un breve saluto e si comincia. Federica a sinistra, io al centro e Laura sulla destra, un trittico degno della migliore delle orchestre di felicità.
Senza nemmeno un’esitazione viene fuori una bellissima melodia le cui note erano i sorrisi e il respiro delle pianiste, la pace di tutti e l’emozione forte e piacevole di soddisfazione.
L’applauso finale è forte e sentito, si lascia spazio a qualche inchino e poi le artiste escono di scena.
Dalla profondità del mio stato d’animo che quella mattina non era dei migliori (per cause rigorosamente esterne alla giornata e al posto, s'intende) avevo creato quel momento. Io che mi sentivo così bisognoso di prendere, sentivo il merito di aver fatto qualcosa, di aver dato qualcosa che, seppur piccolo è stato consacrato dalle mie amiche, sorelle, attraverso il gesto di pormi un bouquet di fiori dopo qualche minuto dalla fine del piccolo saggio. Non era stato pianificato, ne avevo idea prima di come avessi potuto e saputo fare qualcosa del genere, eppure è accaduto, dal nulla.
Come non vedere e comprendere che quello era frutto dell’insegnamento di Marco del giorno prima? L’insegnamento era penetrato in me ad un livello più profondo di quello razionale e aveva prodotto qualcosa di nuovo ed inaspettato. Qualcosa di Bello.
Il bouquet di fiori era composto da alcuni ramoscelli d’ulivo, margherite, altre erbe e un fiore del desiderio, di quelli che se ci soffi sopra si libera nell'aria e diventa una pioggia di spore bianche leggerissime.
Non ho perso l’occasione di desiderare immediatamente, ho aperto una finestra e ho soffiato fuori tutto quello che volevo, che in quanto desiderio di fiore, deve rimanere segreto, ma che credo essere desiderio di molti.
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