Ciao a tutti, mi chiamo Gianpaolo e oggi vi racconterò una storia straordinaria. La più bella storia che io abbia mai raccontato. E parla di me. Dopo circa due ore di dialogo con Marco, ho avuto una presa di coscienza di un livello mai raggiunto prima. Ho partecipato ad uno stato di consapevolezza all'interno del quale non esisteva più il danno e così la colpa, la paura e il dolore. Mi sono sentito come se un peso di duecento tonnellate che non sapevo di portare addosso (ma di cui sentivo gli effetti) fosse scomparso: leggerezza infinita, sollievo, calma, piacere, felicità, immensa ed indimenticabile felicità. Non avevo mai provato una sensazione così forte, una serenità così grande da farmi piangere di gioia. Tutto per aver visto una cosa che prima non vedevo, che non c’è nulla che io possa fare per creare dolore in me o negli altri. E’ tutto già li, perfetto, fermo e io stavo solo negandolo senza guardare, negandomelo, senza guardare.
Ma voglio che nemmeno una parte del processo che mi ha portato ad una tale chiarezza, a questa mia piccola illuminazione, sia omessa dal racconto che mi appresto a scrivere, per cui andrò per gradi e parlerò passo per passo di questa stupenda esperienza sin dall'inizio della giornata.
Per agevolare la lettura premetto che per quello che qui verrà chiamato sofferenza e che verrà definito perfetto e bello, s'intende ciò che noi rifiutiamo. Ciò che l’Ego rifiuta, senza prima osservare. La realtà. Non il dolore, che chiameremo invece confusione. Non è quindi un elogio al dolore il testo che segue ma un elogio a ciò che è reale.
Siamo andati come sempre a Villa Pamphili per una lezione in meditazione più profonda. Io, Fauno e Marco. Avevo espressamente richiesto il giorno prima di fare una seduta d’aiuto pratica per me, ne ho fatte molte con Marco nella mia vita, e ne sentivo il bisogno.
Appena arrivati alla vallata ci sistemiamo: teli, frutta, acqua, abbiamo tutto. La villa è magicamente deserta. Possiamo iniziare la meditazione senza neanche una minima distrazione esterna.
Io sono un po’ agitato. Medito.
M. “Gianpaolo stai aspettando, aspetti qualcosa ti vedo. Invece sta tutto qui.”
Stavo aspettando, aspettavo che finisse il turbinio di pensieri nella testa, aspettavo che arrivasse più chiarezza, più pace, che questa pace risolvesse il mio stato inquieto. Mi stavo occupando profondamente, in silenzio, nella mia testa, della mia sofferenza.
Marco inizia a parlare (senza che io avessi detto nulla sulla mia attività):
“Invece di occuparci della sofferenza, invece di occuparci della nostra ipotetica volontà di sofferenza per poi controllarla, modificarla, osservarla, migliorarla, capirla, invece di fare queste attività che presuppongono già che noi non siamo quella sofferenza e quella volontà, perché non smettiamo di presupporre e viviamo l’essere quella sofferenza, perché non viviamo noi stessi. Non è un rammarico è un suggerimento. Viviamo noi stessi, non facciamo più finta. Io non voglio controllare la mia sofferenza, io voglio vivermela pienamente. Io voglio scomparire dentro questo tumulto che chiamo sofferenza. Voglio smettere di fare resistenza. Ci sto. Stacci. Non ho più bisogno di esistere in quanto Io, perché quella cosa è precedente all’esistenza dell’Io, non posso farci nulla. Esiste al mondo il fatto che io sto percependo sofferenza. Quella percezione ha un significato senza limiti, un significato senza imperfezioni. Sostenere il contrario è sostenere confusione, è come dire non esiste l’esistente. Facciamo chiarezza, siete confusi. Vediamo che la confusione ci fa schifo. Se volete controllare, se non volete controllare rimanete nella confusione. Quello che percepisco è sacro, il mio cuore è sacro, non c’è l’Ego che può gestirlo, il mio cuore è fuori dal controllo degli Ego. Viviamoci quello che c’è, al centro di noi c’è la sofferenza. Facciamo sparire questa mosca che chiamiamo Ego, questo colui che soffre, questa entità che sceglie cosa è bello e cosa è brutto. Apriamoci, non analizziamola, viviamola. Stiamoci. La sofferenza può anche esistere, non metto bocca. Quello che faccio scomparire è chi mette bocca. La sofferenza c’è, è Marco che manca. Permettiamoci di soffrire, un minuto solo, nella nostra vita. Permettiamoci di avere paura, un minuto solo. Finora non l’abbiamo mai fatto, abbiamo sempre previsto, fuggito, controllato. Basta, apri gli occhi e soffri! Ci stava, pensa tu, ci stava quella cosa, la sofferenza, ci sta. Ci sta ed è mia. Tutta la percezione è solo una conseguenza successiva per questa sofferenza che ci sta. Non c’è niente altro che sofferenza. Non ci sono gli alberi, non ci sono le menti, i prati le persone, è tutta sofferenza, manifestazione ed espressione di sofferenza. Non c’è la morte, la morte non è nient’altro che la manifestazione della sofferenza. Questo è il regno della sofferenza. Non guardo più i singoli aspetti del regno, guardo l’anima del regno, quello che veramente rappresenta, significa: sofferenza, senza se, senza ma, senza tempo, senza sofferenti, senza cause, senza motivi. Pura, origine, sofferenza. [Pausa di alcuni minuti] This is Suffering. We can’t escape from that. Stop willing.”
Come alcune volte accade quando raggiunge un livello molto profondo ed è da solo (o con me e fauno) Marco inizia a parlare in inglese. Lo farà per buona parte del tempo oggi (ma non capita in occasioni pubbliche, lo fa solo quando sa di poter essere compreso).
M. “Stop creating the illusion, stop dreaming, we cannot escape. Suffering has no name, Suffering has no division. Suffering cannot be rejected by anyone.”
Prosegue, con una pace e una serenità che non avevo mai visto dal vivo in nessuno (d’ora in poi traduco in italiano):
“Io sono la sofferenza, non c’è nient’altro all’infuori di me, la sofferenza. Possiamo accettarlo? O ne abbiamo paura, non vogliamo vederlo, non ci piace? La verità è più forte delle nostre preferenze. Io vi sto portando nella sofferenza, con calma, senza paura, senza fuggire, senza rifiutare, senza nessuna azione, senza nessun movimento. Nessun movimento è possibile nel regno della sofferenza. Smetti di pensare immaginare quel movimento. Smetti di pensare quale scelta è la migliore. Non c’è scelta, solo la sofferenza esiste in questo regno, siamo qui, dove solo una verità è possibile: esiste solo sofferenza. Non ci sono errori in questo, è perfetto. Dobbiamo passare da questa porta, dobbiamo essere nel giusto, noi vogliamo essere nel giusto. Io sono nel giusto. Immaginate il potere di tutto questo. Guardatemi, io sono qui. Non c’è nessun movimento, io creo il movimento negli altri. Io voglio che mi vediate, che vediate la bellezza di questo e che vogliate anche voi essere nel giusto. Desideriate di essere nel giusto. Siate ispirati da ciò che vedete in me. Io sono qui, per voi. Questa probabilmente è la prima volta che mi vedete in questo posto.”
Parte una domanda da Marco verso di noi: chi si occupa della sofferenza?
Io faccio cenno, me ne sto occupando.
Marco sorridendo guarda Fauno:
“Lui se ne occupa. Noi ci occupiamo di te [guardando me], non della tua sofferenza. Io mi occuperò di te anche dopo la tua morte. Non mi occuperò della tua sofferenza, perché io ti amo. Io non do nessuno spazio all’ingiustizia nella mia mente, io non do nessuno spazio all’ingiustizia. Vedo correttamente, nessuno può confondermi, nessuno può convincermi che c’è ingiustizia. Io sono nel giusto, vedo bene, c’è solo sofferenza.”
Durante la meditazione prendo la mano di Marco. Eravamo vicini, tutti e tre, nella posizione classica di meditazione, quella a gambe incrociate, la posizione del loto. La mia era una richiesta, la meditazione mi aveva portato a vedere più profondamente dentro di me e quello che stavo vedendo non mi piaceva, soffrivo. Marco ha accettato la richiesta, senza necessità che parlassimo e ha interrotto la sua attività interiore per dedicarsi a me.
Nel continuare l’insegnamento si è arrivati ad un punto che mi sta molto a cuore, quello relativo ai diversi step di consapevolezza che una persona può fare. E’ un punto fondamentale che molti fraintendono ed è il motivo per il quale Marco parla ad ognuno in modo diverso, usando parole diverse, forme, strutture, domande e affermazioni differenti. Dipende tutto da chi riceve, dal livello di coscienza di chi riceve. Se Marco deve rispondere ad una richiesta di una persona che non ha nemmeno idea che esista la sofferenza, il primo passo che proporrà sarà quello di vedere che esiste. A chi sa già che esiste, mostrerà che esiste solo quella e che se non la si percepisce e perché si è distratti. In questo caso parliamo di sofferenza ma il discorso sul rivolgersi diversamente in base al livello di coscienza vale per tutto, non c’è un unico linguaggio, o meglio c’è ed è sempre solo quello di chi ascolta, altrimenti non passa nulla. Marco conosce tutte le lingue di tutti gli Ego (le lingue emotive, interiori), ognuno conosce solo quelle che ha visto e che parla.
M. “Prima dobbiamo comprendere che la sofferenza è reale e poi dobbiamo vedere che non c’è nient’altro di reale. Vogliamo svegliarci o vogliamo averne paura? Se non vuoi svegliarti ti stai sbagliando. Sei nella confusione. Tu pensi che la sofferenza non sia giusta. La sofferenza è giusta, io sono sofferenza, io sono giusto.”
Marco sta portandoci a vedere la sofferenza in lui, il suo essere la sofferenza.
M. “Trattate il confuso, il meschino, l’avaro come se fossi io. Se volete insultare il meschino insultate me prima. Io sono quello. Guardatemi in faccia e insultate me prima, perché io sono quello. Non avrete il potere di farlo.”
Sento un peso profondo, la solitudine e l’impotenza prendono il sopravvento, c’è qualcosa dentro che ha bisogno di uscire, qualcuno urla dentro di me. Lascio che accada ciò che voglio che accada e piango. E’ un pianto di dolore molto contrito.
M. [verso di me, esortandomi a guardarlo negli occhi e non isolarmi] “Dove vai lontano? questa è la sofferenza, è giusta, non puoi aver fatto niente di sbagliato. Io ti mando la giustezza della sofferenza. Non ti conforto nella sofferenza. Si conforta solo chi ha fatto qualcosa di ingiusto. Io lo so quello che fai e ti dico che è giusto. Tu ti credi che è sbagliato, ti sbagli. La sofferenza c’è, sta qui, adesso, no ieri. Prima di piangere, guarda e poi dopo piangi. Se no non c’è motivo. Guardala, io la sto guardando, non fa piangere. E’ perfetta è giusta. Non porta dolore, non fa venire le ulcere o i cancri. Quella è la confusione. Io non ho dubbi, non mi viene l’ulcera, e se hai dubbi che ti viene. Vieni nel posto dove non ci sono i dubbi, è il posto dove si vedono le cose. La sofferenza c’è. C’è, secondo te può esistere una cosa che non è santa? Mi vuoi insegnare questa cosa? Esiste, l’hanno fatta tutta per noi, perché siamo liberi e giusti. Senza la sofferenza non potevamo essere liberi e giusti di fare tutto ciò che volevamo. Non c’è scollatura nel regno del creato. Lo strappo che chiamiamo sofferenza non l’abbiamo creato noi, la sofferenza era inclusa. Non siamo responsabili di questa sofferenza e giudicabili negativamente. Significherebbe che noi siamo autori del male. Non abbiamo strappato niente dal creato, il creato è ciò che ha diritto di esistere. La sofferenza ci sta. Vogliamo far diventare la sofferenza una magnificenza onorata del creato? O vogliamo farla diventare una schifezza creata da noi con colpa da nascondere e mettere in una scatola? Non l’abbiamo fatta noi, ci siamo in mezzo. Non l'hai fatta tu. Stiamo correndo in essa, senza nessun danno. Sognare provoca danno, rifiutare la realtà provoca danni, lo svegliarsi e vedere le cose come stanno no. Ti va a te di renderle giustizia? E’ nel presente ed è bellissima, è in un posto dove non sei mai stato.”
Gp: “Fammici venire [nel presente]”
Marco fa cenno di si con la testa.
M. “Tu vuoi rifiutare di venire alla sofferenza, vuoi scappare dalla sofferenza o come mi hai chiesto vuoi venire alla sofferenza?”
Gp. [sorridendo] “Scappare”
M. “Allora piangi ma quella non è sofferenza, è confusione, interpreto: Quella si chiama confusione non sofferenza e ci fa schifo. La confusione non è niente, non cercare qualcosa per creare un mondo brutto è una voglia di non vedere perché ci hanno detto che la sofferenza era brutta e non bisognava avvicinarsi. Io dico che è bella. Guardate me, vi sfido. Io sono sofferenza e io sto bene. Non c’è altro che sofferenza, vieni a vedere, se non ti va sogna. Se vedi che c’è solo sofferenza non puoi altro che migliorare. Nulla può la materia, la morte. Io sono sofferenza, non c’è nulla che può andare male.”
Marco si alza e mi invita ad accompagnarlo alla fontanella per rinfrescarci e riempire le bottiglie. Fauno resta a presidio dell’accampamento. Iniziamo la passeggiata. D’ora in poi e come se il tempo si fosse fermato, come se i minuti fossero mesi e le ore fossero anni, sino ad un momento preciso in cui collassa tutto, come un'implosione quantica.
M. “Tutto quello che tu vedi quando piangi non è sofferenza, è confusione. Non è vera. L’inizio, la causa dei problemi, degli errori, l’inizio, si chiama sofferenza ed è bella, e non c’è altro. Si chiama realtà poi, no sofferenza. Mettila in te, sta in te già, è reale e non è brutta. Non hai nessun arma, nessuno strumento con me per dimostrarmi che è brutta. Parliamone, dimostrami che è brutta. Mi devi dimostrare che io sono brutto, perché io fidati, sto la dentro. Insegnami, aspetto, quanto tempo vuoi, 10 anni, 20 anni. Io adesso sto in quel campo li, quello più brutto che tu ti immagini, la follia, la morte, pensa tu, sto vivendo dentro quella cosa la. Si chiama realtà, dove può capitare di tutto, il posto dove puoi fare qualsiasi cosa e dove può capitare qualsiasi cosa. E vedo tutto, non è ignoto, c’è solo sofferenza e non è brutta. Vogliamo cambiare parola? C’è solo gioia, che è quella cosa che tu guardi quando stai puntando il dito, a te o a chi accusi.”
La parola gioia mi confonde, torniamo un passo indietro, richiamiamola sofferenza.
M. “La sofferenza è bella, non esistono valutazioni negative della realtà. Controlla, non stai controllando lo sanno tutti, stai pensando. Quando pensi già hai detto che è brutto. Lo scopo tuo è solo allontanarti da qui.”
Sento che sta accadendo qualcosa dentro di me, non è razionale il livello della ricezione però, è emotivo. Sento come se il terreno da sotto i piedi venisse a mancare. Come se i miei pensieri fossero sempre gli stessi, come se stessi ai bordi della mente.
Gp. “Aiutami a…”
M. “Guarda che Io sono quello che dice che è bella, capisci? Io sono il tuo più acerrimo nemico. Qualunque tuo pensiero è per allontanarsi da me. Contraddicimi, odiami dai, io sono la sofferenza, ti sfido!”
Rido. Marco sta parlando dritto dritto al mio Ego, all’avvocato della mia mente, il nemico primo della libertà, della gioia, del nuovo. Sono alle strette. L’Ego è stato scoperto, è alla luce del sole. Io sono all’apice della tensione dell’Ego. Il mio livello di coscienza ora sale di un pezzettino, osservo che c’è qualcosa che non torna, come se stessi recitando una parte. Continuo.
Gp. [Ridendo] “Mi hai sgamato!”
M. “Allora, dimmi che sono brutto, dimmelo in faccia!”
Controllo.
Gp. “Non ce la faccio.”
M. “E allora rivedi tutto. Che cosa vuoi? Venire qui nel paradiso, chiamato sofferenza per te, o scappare dalla sofferenza.”
Gp. “La prima.”
M. “Allora smetti di rifiutarla, di valutarla, di allontanarla, di scappare. Se dici che è brutta non puoi volerti avvicinare ad essa. Se vuoi guardare non puoi prima già aver valutato. La sofferenza è bella. C’è solo sofferenza ed è bella.”
Osservo cosa sta succedendo. Faccio un check, mi viene in mente il passato.
Gp. “La cosa che sentivo prima, quando ero li [indicando l’accampamento lontano] era brutta.”
M. “Quella cosa là si chiama?”
Gp. “Confusione.”
M. “Bravo, quella è brutta, assolutamente diversa dalla realtà. E’ uno che pensa alle cose e dice che sono brutte, ma non è vero. Si chiama confusione ed è brutta. Se ci fosse la sofferenza, qualunque causa mentale della sofferenza dovrebbe stare qui, nel presente, altrimenti non esisterebbe. La causa di tutto, che è qui, sono io e io sono sofferenza, ed è bella. Vogliamo rifiutare questo fatto? Passare tutta la vita a fuggire e a piangere nella confusione?”
Qui scatta una piccola molla. Potrei dire si, l’ho sempre fatto. Ma oggi voglio fare qualcosa di nuovo. Per una volta, voglio uscire dagli schemi. Ho un po' paura, non so come si fa, ma l’alternativa già la conosco e mi fa schifo.
Gp. “Non mi va.”
M. “Smetti di rifiutarla, amala. Non la cosa brutta, la sofferenza che è bella. Quella che te chiami sofferenza. La sofferenza è l’origine di quelle che tu chiami emozioni negative. Si chiama realtà, presente ed è bella. Se tu la vuoi rifiutare, la causa, perché hai già deciso che è brutta senza guardarla, sei uno che si impunta, uno che sogna.”
Gp. “Non capisco”
M. “Mi pare di aver ripetuto sempre la stessa frase. Io sono la sofferenza”
Gp. “Io pure”
M. “A me piace”
Gp. “A me no invece”
M. “Sei confuso a riguardo, se solo tu controllassi quello che c’è senza valutare prima di guardare…”
Gp. “Allora controlliamo”
M. “Io sto controllando”
Gp. “Aiutami a controllare”
M. “Ti deve piacere controllare le cose. Ti piace? Ci sta un filetto in te a cui piace controllare le cose, già adesso, io sto dicendo tutte cose alla tua portata”
Gp. “Mi va”
M. “Ce la fai a fare un minuto solo in cui controlliamo totalmente, senza pericoli, qui, un minuto nel prato io e te e poi domani ti rimetti a difenderti e dici che è brutta senza guardare?”
Se dico si adesso non ci sono più scuse. Marco mi ha tolto tutte le base della sofferenza, se dico di si ora entro in un posto che non ho mai visto. Siamo soli però, al sicuro, è bello, non l’ho mai fatto, mi fido di lui, ok.
Gp. “Ci sto”
Guardo Marco, aspetto, non lo so io come si fa!
M. “Mh. Te lo devi fare, non guardare me, io già sto guardando. [Pausa]. Per esempio devi vedere che non c’è nient’altro oltre la sofferenza. Devi vedere una realtà fatta di emozioni. Un’emozione di sofferenza che crea tutto l’universo materiale. Pensa quanto è vera? Questo piano materiale è un desiderio di sofferenza. Ed è bella.”
Non sono convinto, c’è qualcosa che non capisco. Passiamo dall’altra parte del fiume attraversando il tubo di metallo che porta l’acqua da una parte all’altra attenti a non cadere. Beviamo dalla fontana e ci rinfreschiamo. Sento di dover dire una cosa. Non sentivo più il dolore di prima.
Gp. “Adesso a me non sembra che ci sia sofferenza”
M. “Ti ricordi che ti ho detto che la sofferenza è quella cosa che c’è sempre ed è bella? Quando senti dolore è confusione!”
Gp. “Mh. Confusione. Ci sta di meno”
M. “Ma c’è?”
Gp. “Si”
M. “Confusione è dolore. Se ti immagini che c’è qualcosa oltre la sofferenza allora quella è confusione e dolore. Se tu senti dolore non è per questo…”
Comincio a capire.
Gp “Non è per come è fatta la realtà…”
M. “Non è per come è fatta la realtà, ma perché la stai rifiutando, perché ti immagini che è brutta, che c’è qualcosa che è ingiusto”
Voglio andare all’ombra (restando però vicino alla fontanella) e continuare il discorso. Lo dico a Marco.
M. “Si, ricordati sempre che c’è un amico in disparte.”
Avevamo lasciato Fauno. Non avevo idea di quanto tempo fosse passato. Mi sento in colpa.
Gp. “Allora andiamo dai…”
M. “Non è un danno. Come vuoi te, va bene tutte e due, tutte e due sono giuste”
Faccio un’altra cosa che non avrei mai fatto prima, oggi è il giorno delle prime volte, affronto la colpa, credo di meritarmelo di restare ancora qui, qualcosa sta accadendo. Me lo merito.
Gp. “Allora qualche minuto ancora qui”
M. “Bravo. Lui scoprirà e godrà di questa cosa perché è giusta. Non ti puoi allontanare dalla sofferenza che comunque è giusta.”
La colpa però rimane.
Gp. “Adesso sento un po di colpa in me”
M. “Perchè colpa?”
Indico Fauno. Questo sarà l’ultimo tassello da togliere che farà crollare tutto.
M. “Perchè hai fatto un’azione che può provocare sofferenza in Fauno e in te”
Gp. “Si”
M. “La sofferenza c’è ed è giusta”
Gp. “Ah c’è gia?!”
Non è possibile contenere in nessun modo la risata profonda che mi sale dal cuore. Rido, è un tappo gigantesco che si è tolto. Ho appena capito tutto. Ho appena capito tutto quello che stavamo dicendo da ore, da una vita.
M. “Però mi pare che è l’unica cosa che sto dicendo da due ore”
Gp. “E’ arrivata adesso. Che c’è già di base!”
Guardo verso Fauno in lontananza e vedo sofferenza, mi giro e la vedo, in me, ovunque, c’è già, è qui, al massimo livello possibile “a palla!”, esiste solo quello. Io che credevo di poterla aumentare, di poterla creare, in me, in Fauno, in tutti. La catena della colpa di fronte ad una presa di coscienza del genere crolla in un secondo, si sbriciola, perde qualsiasi valore e potere. Non ci può essere danno! Non posso far soffrire nessuno, non posso soffrire, è già tutto sofferenza. Che cos’è la paura senza la possibilità di provocare danno nel futuro? Che cos’è la colpa senza la possibilità di aver fatto danno nel passato? La peggiore delle ipotesi che temevo è già reale. Non può andare peggio in nessun modo, esiste solo quello. Rido, abbraccio Marco, faccio un sospiro enorme, come se mi fossi tolto un peso di duecento tonnellate. Piango, piango di gioia, è una sensazione di liberazione meravigliosa. Piango e rido insieme. Sembro un bambino a cui hanno detto che andrà a Disneyland il giorno stesso, ma di più, sembro un bambino prigioniero a cui hanno detto che è finita la guerra. Non ci sono più pensieri, solo sollievo. Io sono un tocco di sollievo.
E’ come se per tutta la vita avessi avuto il terrore di poter anche solo per un secondo andare su una spiaggia o di mandarci qualcuno a me vicino, anche per sbaglio, come se per un tale terrore avessi continuamente cercato di evitare questa spiaggia con tutte le mie forze, e poi mi fossi accorto, tutto in un momento che sono già su quella spiaggia, da un'eternità, insieme a tutti gli altri ed è anche una bellissima spiaggia. E’ una fatica enorme negare la realtà, ed è anche vana. La guerra è finita. E’ finita. Sono felice come non lo sono mai stato. Posso chiamarla sofferenza (nel senso in cui la intendevo prima) questa? Ecco perché Marco diceva che era bella.
M. “Possiamo solo migliorare, è tutto fatto di sofferenza ed è bella. Se l'universo esiste può esse ingiusto? Mica l’hai fatto te. La sofferenza mica l’hai fatta te!”
Gp. “Ce l’ho trovata”
M. “Ce l’hanno fatta così, già esiste, come fa a non essere giusto ciò che esiste. Chi dice che non è giusto qualcosa che esiste si deve tirare fuori. Ma io lo vedo e glielo dimostro: Sei dentro, siamo tutti dentro, qual’è il problema?”.
Gp. [ridendo] “Relax. E’ andata. [Pausa] Riavviciniamoci a Fauno”
Il bambino è stato partorito.
Arrivati da Fauno, Marco gli racconta che ho avuto una grossa presa di coscienza e gli chiede da parte mia se mi perdona per aver scelto di tenerlo in disparte in questo mio parto. Fauno mi perdona. Non c’è nulla da fare, qui possiamo solo andare di bene in meglio. Abbraccio Fauno buttandomici letteralmente sopra, Sento il mio respiro, è libero, erano anni che non respiravo così, anni. Sapete cosa significa non respirare a pieni polmoni per anni? Ho una pace nella mia mente di un livello superiore, come se avessi finito tutto e dovessi solo rilassarmi, per tutta la vita, in completa sicurezza. Rido per molto tempo 20 minuti, forse anche di più. Marco è contento di quello che è successo, gioisce della mia felicità.
M. “Andiamo avanti”
Gp. [sempre ridendo a crepapelle] “Andiamo avanti ma pure qua!”
Nulla mi passa per la testa se non che sono nel posto più meraviglioso che possa esser mai stato creato. Mi sta bene anche rimanere qui tutta la vita, a zero. Zero colpa, zero paura, zero confusione, zero dolore. E’ un utero di velluto.
In mezzo a questo stato di relax ho anche un’intuizione.
Gp. “Ho capito la questione dello scopo”.
Saranno anni che sento dire da Marco che ciò che importa è lo scopo. Lo scopo prima delle azioni, lo scopo anche prima dei pensieri. In un attimo è tutto chiaro, vedo quello che facevo fino ad un secondo prima e ne vedo lo scopo. Se lo scopo è già macchiato, è scorretto, è di negare la realtà, di fuggirla, di controllarla, di valutarla, tutto ciò che verrà successivamente sarà macchiato. Se medito con lo scopo di uscire dalla sofferenza, medito già inquinato. Non lo condanno di certo, continuerò a meditare. Ma allo scopo dei miei pensieri e delle mie azioni porrò l’attenzione d’ora in poi.
Dopo la riflessione ringrazio Fauno. Della colpa che mi ha fatto scattare la molla della coscienza, rido, rido ogni parola che dico. E’ tutto bellissimo. È finita la guerra! È finita.
M. “Vabbè che facciamo? Giochiamo a qualcosa?”
Ma si, giochiamo! Io lui e Fauno. Non abbiamo nessuna palla così prendiamo una pesca grande molto dura che avevo portato. Sarà un sostituto perfetto. Ce la lanciamo da lontano, ritmicamente, giochiamo a prenderla con una mano sola. Mi diverto, gioco liberamente, non giocavo in questo modo da così tanto tempo, stavolta so anche quanto, non giocavo così da quindici anni. Non giocavo da quindici anni.
E sono consapevole di ciò che accade, vedo che anche il gioco e un altro insegnamento di Marco, un insegnamento a più livelli, che scende su di me per farmi vedere dove dobbiamo arrivare, a divertirci e stare bene, e un insegnamento di integrazione, che fa riunire il gruppo in armonia dopo che Fauno era rimasto in disparte per alcuni minuti.
Il gioco finisce quando la pesca giunge a estrema maturazione. Andiamo a sciacquarci, a turni però, rimango io a presidio stavolta. Appena tornati Fauno e Marco mi dirigo verso la fontanella anche io, sto per attraversare il fiumiciattolo con fare baldanzoso quando, senza curarmi troppo di dove metto i piedi, vado dritto nell’acqua. Anche questo è un insegnamento e mi arriva direttamente dalla realtà. Cado nel ruscello, accade quello che da anni attraversando il tubo/ponticello avevo evitato stando attentissimo al mio equilibrio. Ebbene, quello che sento è un piacevole fresco su piede e caviglia. Metto dentro anche l’altro piede, che bello. La peggiore delle ipotesi nell’attraversare il ruscello, una condizione che ho sempre un poco temuto, era in realtà nulla di terrificante. L’insegnamento del cadere nel ruscello era che “non si cade nel ruscello”.
Torno all’accampamento, si è fatto tardi, decidiamo di organizzarci per la cena. Prima di andare decido di coronare l’evento di oggi e compiere un’azione piccola ma di una potenza spropositata. Chiamo mio padre e mia madre e gli dico che gli voglio bene. Non glielo avevo mai detto, era proprio il momento. Sta accadendo qualcosa di incredibile qui a Roma, in questi anni, qualcosa che rimarrà nella storia e io ci sono dentro. Ma chi l’avrebbe mai detto?
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