DI GIANPAOLO MARCUCCI
Se dai, non perdi nulla
È sera, si sta bene qui, fa un poco fresco così metto il maglione di cotone che mi sono portato; non sembra nemmeno ferragosto. Siamo a Sacrofano, un paesino in collina vicino Roma il cui centro storico è un borgo delizioso. Si passeggia dopo aver mangiato. Fauno dice:
F. “Sarebbe bello se esistesse un errore senza la colpa”
Certo, pensa che meraviglia, come tra amici che si vogliono bene, uno sbaglia, butta la pasta lunga anzi che quella corta, si è scordato, si è tra amici, non importa. Non c’è danno e se manca il danno manca anche la colpa.
Marco: “Il danno non c’è mai, come la colpa. Ce la mettiamo noi, volontariamente”.
L’insegnamento di stasera parte da un punto che ritorna spesso: tutto rimanda alla colpa che l’uomo sente per aver provato a sfidare Dio volendo creare un mondo di sofferenza. E' una sfida di autorità e l’uomo non è in grado di aspettare che arrivi Dio a punirlo, l’attesa è straziante e la colpa che sente è massima. E' sicuro che una punizione arriverà, deve arrivare per forza, è giusto così, allora provvede lui stesso, si auto-punisce, in anticipo, in eterno, è un’espiazione. Ma il messaggio di Marco è opposto alla visione dell’uomo, non c’è nessuna colpa, non c’è nessun danno, non siamo riusciti a creare la sofferenza, abbiamo creato un sogno fatto di questa cosa misteriosa, ma i sogni sono finti per definizione, finiscono, appena ci si sveglia. Lui ha visto la fine, è qui per svegliare chi non vuole più sognare, per mostrare a tutti che non siamo schiavi di nessuno, che ci siamo messi le catene da soli e abbiamo anche le chiavi in tasca, tutto ciò che crediamo di subire lo stiamo creando.
M: “Ho visto molte persone infelici, sull’autobus, tutti stipati che guardavano in basso, esausti, sofferenti, come schiavi, peggio degli schiavi.”
Ma come stiamo gestendo le nostre vite? Ci vogliamo bene? Ci stiamo curando di noi? Stiamo dandoci quello che ci spetta? Miliardi di persone vivono aspirando ad una condizione che migliaia di anni fa era riservata agli schiavi, e pensano anche che gli sia andata bene! Che significa vivere con lo scopo di trovare un lavoro di 10 ore al giorno che mi permetta di comprare una casa di proprietà da poter lasciare un giorno a mio figlio, in attesa che arrivi la morte? Che significa essere troppo impegnati per rispondere alla domanda: sei felice? Una volta ho letto un proverbio zen molto simpatico, diceva più o meno così: “Dovresti sederti in meditazione per 20 minuti, ogni giorno; a meno che non sei troppo impegnato. In tal caso dovresti sederti per un’ora”. Quante volte ci sediamo davvero e ci mettiamo ad osservare chi siamo, cosa vogliamo.
M. “Non sappiamo cos’è la felicità, non ne abbiamo idea e sopratutto non sappiamo che noi, proprio non la vogliamo. Questa è la presa di coscienza più importante per chi è infelice, per il mondo che ora è infelice. Non c’è porta che si possa aprire senza questa chiave. L’Ego non vuole la felicità, è creato apposta per allontanarsi da essa.”
A tutti i livelli, si vede chiaramente, da quello più introspettivo al livello politico, ad esempio basti pensare alla democrazia diretta che ci spaventa perché non ci crediamo degni e in grado di poter decidere delle nostre vite liberamente, vogliamo qualcuno che lo faccia per noi, che ci renda schiavi e prosegua la punizione che ci stiamo infliggendo, confermi ciò che crediamo sia vero, che siamo indegni e colpevoli. È un atto volontario.
M. “Solo comprendendo che siamo noi a decidere che non vogliamo la felicità, possiamo poi andare nel posto in cui abbiamo deciso di non volerla e cambiare la decisione, nel presente.”
Io e Fauno la vogliamo cambiare questa situazione. Arriva un consiglio:
M. “Voi mi chiedete sempre cosa fare, io non ve lo dico mai. Oggi invece vi do un consiglio. Vogliate bene, amate! Magari all’inizio non sapete come si fa, dovete imparare, allora fate così, intanto compiete atti d’amore. È il mio primo consiglio, compiete atti d’amore, avrete risultati straordinari”
E’ vero, l’ho sperimentato! Compiere un gesto amorevole, anche se è solo un piccolo gesto, portare dei fiori, aiutare qualcuno, dare un abbraccio o fare una telefonata, se mosso dalla volontà di dare affetto, crea dentro di te un potere straordinario. Marco prosegue l’insegnamento e parla del dare, l’unica cosa che possiamo fare. Parte, come spesso accade, da una metafora, la metafora dell’airbag.
M. “Adesso stiamo tutti li ad impegnarci per creare degli airbag che ci proteggano, cuscinetti da conservare per un qualche futuro terrificante che potrebbe arrivare. Io creo il mio airbag, lo faccio di soldi ad esempio, che oggi sono per convenzione un mezzo a cui molti attribuiscono valore in se, poi passa uno che muore di sete, io potrei farlo bere e renderlo felice ma non lo faccio perché altrimenti perdo il mio airbag. Vado in un posto che mi piace, vorrei mangiare una cosa buona, mi renderebbe felice ma chi ce l’ha mi nega l’accesso, non me la da se non in cambio di soldi perché non vuole perdere il suo airbag. Siamo tutti soli ognuno col proprio airbag, ma siamo infelici, non comunichiamo, bolle chiuse. E se invece ci liberassimo di tutti gli airbag e facessimo quello per cui siamo fatti ovvero dare? Dare felicità a chi la chiede, tutti, nessuno escluso, cosa perderemmo? L’idea di perdere qualcosa nasce dal fraintendimento del fatto che qualcosa non è nostro. La terra è nostra, l’universo è nostro, tutta la materia è nostra, l’abbiamo voluta, nessuno può togliercela. Vi dirò di più la fisica ha scoperto anche (con Einstein) che la massa dell’universo non diminuisce, è stabile, nessuno ve a porta via, nessuna può portarvi via nulla, è già tutto vostro. [Pausa] E se è già tutto vostro, non potete possedere , che senso avrebbe spostare la materia da un punto all’altro di una cosa che è tutta mia, per proteggerla. Da chi? Da cosa? Le guerre e i conflitti nascono dal frainteso del fatto che qualcosa non è nostro, possediamo un pochino ma per lo più il mondo è fatto di cose non nostre. Non è così.”
Quello che Marco ci sta dicendo è che non si può possedere nulla di materiale perché tutta la materia è già nostra. Pensiamoci, se io ho tutto l’universo, è mio, che senso ha mettere l’etichetta mio su una macchina e metterla in garage? Sarebbe diverso di metterla su Saturno o a Honolulu? Il concetto di proprietà privata viene a decadere, non è una questione economica o politica “la proprietà ha a che fare col voler bene” dice Marco. La terrà ha da sempre risorse in abbondanza per tutti, in eccesso addirittura. Se tutti ci volessimo bene e fossimo felici che senso avrebbe mai possedere mille case o mille macchine. Il pianeta terra è tutto nostro e basta per tutti, chi oggi vuole possedere più degli altri (l’ego, a livello più superficiale i grandi magnati della finanza internazionale o i presidenti e amministratori delle multinazionali più facoltose) lo fa perché qualcosa gli è stato negato in passato e si vuole così vendicare su quello che crede sia il mondo esterno, negando agli altri la possibilità di avere tutto, negando l’accesso a risorse che già sono di tutti.
M. “Ma perché pensate che si possa possedere un atomo? Ragionate in maniera strana”
Ho un brivido di freddo, metto il cappuccio intorno al collo come fosse una sciarpa, una semi-sciarpa. Ricordo di una volta in cui Marco disse: “Le cose sono già di tutti, in molti se lo sono scordato. Quello che noi faremo e renderle nuovamente di tutti. Se qualcuno ti dona un castello che era proprietà privata, tu lo fai diventare una scuola accessibile a tutti che fa del bene e rende felici, e così per qualsiasi cosa”. Che meraviglia, togliere l’etichetta “privato” alle cose. E’ un po come fare Robin Hood, ma senza rubare. Poi la gente va a finire che si ricorda, che ci prende gusto ad essere padrona di tutto l’universo, a non essere povera e schiava, mancante. Con tutta la tecnologia che abbiamo potremmo stare già tutti benissimo, vivere in maniera confortevole, essere sani, mangiare bene. E’ solo una questione di volontà, di accorgersi che tutto è già nostro, che ci spetta di diritto. Ma come si fa? Come posso io contribuire? E’ qui che subentra il dare.
Prima di continuare a parlare della serata a Sacrofano voglio riportare, a proposito, uno scambio in chat avuto con Marco tempo fa che funge da ottimo sunto del discorso:
“Immagina un mondo di uomini raggomitolati in posizione fetale, semi-addormentati, con mezzo occhio aperto impauriti che appena gli passa qualcosa davanti la prendono e la usano solo per loro, non comunicano perché non ne hanno lo scopo, sono li solo per prendere ognuno dall'altro mantenendosi a distanza tra di loro, una distanza piena di sporcizia e aridità.
Immagina poi un mondo dove ognuno lavora per dare e basta. Costruisce una scuola, un fiume per irrigare, una dispensa comune per non fare andare a male i viveri, un aereo per concimare le terre di tutti. Tutti comunicano per lo stesso scopo: dare.
Il pianeta dopo tre mesi ha conquistato il sistema solare e tutti sono felici e sicuri anche fisicamente.
Ciò che hanno creato è tutto loro.
Dare gratis é un guadagno dell'anima e del corpo, più si da più si ha. Siamo creatori.
Quello che vedi fuori é il tuo dentro. Se dai fuori stai costruendo dentro il tuo mondo migliore.
Dare protegge il corpo.
Dare protegge il fisico.
Dare protegge la materia.
Dare protegge il pianeta.
Dare protegge l'anima, la mente e la felicità.
Dare protegge la voglia di vivere e aumenta l'energia.
Prendere é impossibile, la vita non possiamo prenderla e farla finire. L'amore non lo possiamo fare finire.
Possiamo solo aumentare ed estendere.
Mai diminuire nulla”
Ascoltando superficialmente un discorso del genere è facilissimo che si sia portati a pensare: certo però poi io do tutti i miei soldi al barbone che me li chiede, lui li spreca in alcolici e donne e alla fine rimaniamo entrambi poveri, con l’aggravante che io sono stato pure fregato!
Ma alla base di tale obiezione v’è un grosso fraintendimento. Innanzitutto dobbiamo ammettere, se siamo onesti, che l’Ego non da, non è per mezzo di esso che possiamo dare qualcosa, l’Ego vuole solo prendere. La spinta a dare viene di sicuro da una parte di noi che non è Ego, da qualcosa di più vero, di più profondo, di più amorevole, qualcosa di comune. Non siamo abituati a dare, non è nelle corde del nostro Io, dobbiamo imparare, a dare, a chiedere, a ricevere. Ma:
M. “Ricordate che non potete dare qualcosa che non è vostro”
L’abbiamo detto prima, non si può possedere un atomo. Tutto il pacco della materia è già nostro, spostare atomi da una parte all’altra dello spazio con la complicità del tempo non ha nulla a che fare con il dare di cui si sta parlando qui, con il dare con la D maiuscola.
Non si danno i soldi, le macchine, le case, si da l’affetto.
M. “Se vieni spedito su Saturno e trovi una civiltà che non conosci, come fai? Gli offri dei soldi? Quelli non li usano, non sanno nemmeno cosa sono. Sei nudo su Saturno, che fai?”
F. “Li aiuto a salire su un albero.”
M. “Si, o magari stai due minuti a fare compagnia a uno che si sente solo.”
Non è nella materia l’atto del dare, è solo nell’emotività. Si da psicologicamente, affettivamente non esiste altro modo. Dando i soldi non stiamo dando nulla se non interpretiamo in primis cosa sta accadendo, non diamo significato al nostro atto.
M. “Facciamola ancor più semplice, tenetevi i soldi nelle vostre casseforti e date affettivamente e psicologicamente. Date, compiete atti d’amore. Poi fate attenzione, una volta che tutti danno e tutti sono felici perché tutti ricevono, servono ancora queste casseforti?”
E’ una questione di significato:
M: “Se ti do tutti i miei soldi perché così potrai essere pronto a curarti quando un giorno chissà forse ti verrà un cancro, non ti sto dando, ti sto insegnando la paura. Se invece ti do i soldi perché ti voglio bene e voglio che tu abbia tempo libero per vivere felice, il canale del dare è aperto, sto compiendo un atto di affetto. E il canale del dare e del ricevere sono lo stesso identico canale, si riceve solo in misura di quanto si è aperti, di quanto si da.”
E si, l’ho anche già scritto in un precedente resoconto: M. “La felicità la costruisci al contrario di come tu pensi. La costruisci dando. Dare è la chiave, dai e avrai indietro ondate di felicità. Dai agli altri e starai dando a te stesso. Ed ora rispetto a questo ti rivelo una cosa: La tua potenza nel dare è la sommatoria della gratitudine che ti torna indietro.”
Un’obiezione più profonda delle precedente al discorso sul dare nasce però dall’Ego: “Ci sono dei casi in cui dare non mi porta guadagno. Se ad esempio io do a qualcuno che rifiuta l’affetto, che odia, ci perdo”
Anche questa verrà sciolta con facilità:
M. “Non c’è mai perdita nel dare. Mai. La persona che voi dite che rifiuta l’affetto, la persona cattiva, che odia, è solo una persona che ha più bisogno degli altri di essere amata, di riceverlo quell’affetto. Vi ricordate della lezione sull’odio? Che l’odio è una enorme richiesta di aiuto? Tu dai affetto anche se ti viene chiesto dalla persona più crudele e ignobile, gli starai insegnando ad essere sempre meno crudele e ignobile con se stessa e quindi con ciò che crede essere il mondo. Starai facendo del bene a te stesso.”
Questa frase mi ricorda una scena di un film, Peaceful Warrior, in cui il maestro esorta il discepolo a dare ad un gruppo di rapinatori che li avevano fermati in strada più di quello che questi avevano effettivamente chiesto: non solo l’orologio, ma tutto quello che avevano, compresi i vestiti, in regalo (il tutto in alternativa all’idea di attaccarli fisicamente e fuggire che aveva proposto il discepolo).
Voglio fare una piccola e parziale confessione rispetto a questo, un altro esempio dell’influenza positiva del mio maestro. Prima sognavo spesso una persona che credevo di odiare, e sognavo che mi disturbava, mi infastidiva, così io la picchiavo fino a massacrarla e poi stavo male, era un sogno ricorrente. Da un po’ di tempo a questa parte, sogno la stessa persona, ne sono infastidito, ma adotto una nuova soluzione che non avevo mai adottato per risolvere il mio disturbo, mi avvicino a lei e le do un lungo abbraccio, in silenzio.
Si è fatto tardi, siamo stanchi e la temperatura è leggermente più fredda di quanto ci aspettavamo, rientriamo in macchina e ci dirigiamo verso la città.
15 agosto 2014 - Sacrofano