giovedì 7 maggio 2015

Il mio secondo Risveglio Spirituale grazie a Marco Canestrari

DI GIANPAOLO MARCUCCI


Sta per uscire il mio primo libro su Marco Canestrari: "Cronaca di un Risveglio Annunciato - Un anno con Marco Canestrari" che conterà moltissimi racconti e testimonianze di quello che è stato un anno  davvero indimenticabile. Mentre aspettiamo il 7 giugno, data di uscita, vi solletico la curiosità con il resoconto della mia ultima esperienza spirituale. Buona lettura e non dimenticate di acquistare una copia di un testo che vi cambierà la vita!

Giungiamo a Veio per una consulenza privata rivolta a me. Oggi sento che è un giorno differente  dagli ultimi che ho passato. Sono più in sintonia con me stesso, più vicino. Parto in stato meditativo profondo già da prima di uscire. Il mondo che vivo dentro è la paura. La sento forte, limpida, una paura asfissiante e pervasiva di non avere riferimenti, punti saldi, appoggi sicuri su cui piantare la tenda del mio Ego. Se stiamo attenti, quando guardiamo bene, la condizione in cui viviamo dal punto di vista dell’Ego è una condizione molto precaria, instabile, le cui basi, che ci sembrano così salde e ferme quando siamo distratti, così solide e sicure, non sono altro che castelli di idee appallottolate che poggiano le loro fondamenta sul nulla. L’ego è solo un’idea retta da altre idee, se vediamo l’inconsistenza delle idee che ne stanno alla base, crolla tutto il castello, e nasce qualcosa di nuovo, qualcosa di libero. Questo è ciò che mi è successo oggi. Ma come sempre nei miei resoconti, voglio andare in ordine, e mostrare gradualmente tutto il processo che mi ha portato a una così grande e profonda presa di coscienza. 

Camminiamo verso il nostro albero, l’albero vicino al quale ci accampiamo normalmente quando andiamo a Veio a meditare. L’erba è altissima, arriva alle ginocchia. 

Gp. “È cresciuta così tanto in così poco tempo?


Ricordo che eravamo qui solo due settimane fa ed era bassissima. 


M. “Se non la tagliano tra poco arriva fino agli alberi!

Io visualizzo questa immagine, è fonte di paura anch’essa. Non parlo ma Marco vede la mia paura.

M. “È una cosa buona!

Certo, la vita, la vita è una cosa buona. Eppure a me fa solo paura, tutto in questo momento mi fa paura. Arriviamo al punto da noi deciso e iniziamo a sistemare l’accampamento. Teli, vivande, cappotti per dopo quando si alzerà il vento. Con i piedi abbassiamo prima l’erba dove vogliamo posizionare i teli; creiamo un bel quadrato di erba spianata. Tutto è pronto, via la maglietta, e cominciamo, parliamo. “Un momento” penso, “ma cosa sono tutti questi insetti?”. E’ pieno di insetti che volano, saranno decine, sono moltissimi e mi danno fastidio, e se non se ne vanno? E se restano qui tutto il tempo? E se mi pungono, in tutti casi mi danno fastidio! 


M. “Si vabbè questo sta pensando agli insetti!


Marco mi fa notare che la mia attenzione è mal riposta, che non sono imparziale, che la paura è il filtro con cui sto guardando la realtà. Le cose quando vengono viste, non sono più come prima. Faccio un passo indietro. Anzi che gli insetti, guardiamo la paura. L’avevo detto che oggi era un giorno particolare. Sono più volenteroso di guardare, anche se quello che vedo non mi piace, non mi trovo in un bel posto, ma in fondo non mi ci trovo mai quando sono dentro di me, dentro Gianpaolo, dentro l’Ego e sono stufo di fuggire, di voltarmi, di distrarmi e correre. Cosa c’è davanti a me? Cos’è questa cosa da cui scappo tanto? La voglio vedere. Sei un mostro? Be se sei un mostro, amico mio, oggi è il giorno in cui ci incontriamo. Il mio stato di maggiore determinazione lo nota anche Marco.


M. “Oggi sei dell’umore giusto, bravo, oggi andiamo avanti.

Gp. “Cosa mi proponi per essere felice? Tu che sei uno che dice di saper guardare.


Iniziamo così a parlare.


M. “Cosa vuoi? La tua volontà. Io la prendo, le voglio bene e la creo.” 
Gp. “…”
M. “La tua volontà, che dobbiamo farne? La vogliamo schiacciare o omaggiare? Ti piace essere amato o no?

A me piace essere amato. Certo, mi pace essere felice, penso. A chi non piace? Però guardando bene, in questo  pensiero, qualcosa non quadra. Sono sicuro che mi piace essere amato?

M. “Vogliamo amarlo Gianpaolo? Vogliamo amarlo?

Non rispondo, a guardare bene non mi sembra che mi sto amando, per i pensieri che faccio, io non vado mai bene, devo cambiare, devo migliorare. Se seguo i pensieri che faccio, be, io non è che proprio mi dovrei trattare bene. 


M. “Vogliamo odiarlo Gianpaolo?


Vogliamo cambiarlo, piegarlo, farlo soffrire un po’ oggi per raggiungere qualcosa domani. No non vogliamo amarlo.


Gp. “Si direi proprio di si!



Ora sono consapevole. Io mi odio e mi impegno molto a farlo. Non è razionale questa consapevolezza, è chiara, lo vedo, in ogni azione e pensiero che faccio, mi trascuro, mi tratto male, non mi curo di me. Penso più a non deludere o offendere gli altri, ad accettare di buon grado la sofferenza in cambio di piaceri momentanei, non dico di no quando vorrei, non dico di si ogni volta che lo vorrei. Trascuro me stesso e la mia volontà. 



M. “Ah! Ma odiarti non è il mio scopo. Io ti voglio bene. Puoi odiarti se vuoi. Io no, non ti odio, ti voglio bene, anche se tu ti odi. Fai da solo quindi se vuoi odiarti non servo io.


Ma come è possibile? Mi vuole bene anche se io mi odio. Come è possibile, dovrebbe dirmi che sbaglio, dirmi che devo cambiare la mia volontà e sceglierne una migliore, per esempio la volontà di essere felice. Questi pensieri iniziano a sembrare strani persino per me. Voler cambiare la volontà di qualcuno non è odiarlo? Se si ama una persona, se si vuole bene a una persona, come si può volerla diversa, migliore? Accetto la provocazione di Marco e faccio un passo indietro, una richiesta.

Gp. “Aiutami tu che vedi, non sto in un posto bello io.
M. “Cambialo!

Gp. “Si…non sono capace
M. “Scusa, ma questo posto che non ti piace, non è te?
Marco pone l’attenzione verso il mio interno, verso la mia mente. Dove si trova ciò che ci fa soffrire? Ciò che vogliamo cambiare? Ciò che identifichiamo come problema e che cerchiamo in tutti i modi di risolvere? All’esterno o all’interno?

Gp. “Sono io si.” 
M. “E allora?”
Gp. “Sono confuso.”
M. “Ti senti confuso?”
Gp. “Si”

M. “E tu ci credi?”
Gp. “Si”

M. “E in quale posto si può essere confusi?”


Io non capisco, continuo a sentirmi confuso, mi spiego:


Gp. “Non sono calmo, sono nervoso, ho paura, soffro, non mi sembro felice e sereno.
M. “Se fosse vero che tu sai tutte queste cose allora non sei confuso, hai molta chiarezza, molto certezze. Ma non è vero.
Gp. “Io non voglio mica fare la guerra.
M. “Mi inviti a nozze, facciamo la pace. Quello che faccio io infatti è di schivare ogni proiettile che te mi lanci e mostrarti che non mi hai ferito. Ti mostro che ti voglio bene comunque, qualsiasi cosa fai.

Io sento una resistenza nel prendere queste parole come vere. Sento rabbia al loro interno e questa rabbia non mi fa arrivare nessun affetto. Certo però che faccio? Mi vergogno di dire al mio maestro che lo sento arrabbiato con me. Si ok, che Gianpaolo si vergogna di tutto lo sappiamo, ma oggi avevamo detto che era il giorno della verità, non delle bugie. Lo dico, esco allo scoperto:

Gp. “A me sembri arrabbiato con me.
M. “Controlla. Fai uno scanning.”


Mi prende la mano e chiude gli occhi. Io sento che effettivamente Marco non è arrabbiato. E’ calmo e c’è affetto in lui. 


M. “Stai dentro un sogno Gianpaolo, nessuno qui è arrabbiato.

[Pausa di qualche secondo]
Gp. “Io sono arrabbiato.

M. “Ah, ok, questo mi sembra già più vero.” 

Come prima per l’odio ho ora una presa di coscienza forte e profonda sul fatto che sono io ad essere arrabbiato con me. È come un gong nella mia testa, nel mio cuore; tutto quello che vedo all’esterno esiste solo ed esclusivamente dentro di me. Non esiste nessuno arrabbiato se io sono felice e nessuno felice se io non lo sono. Io sono arrabbiato dunque e sono arrabbiato con me stesso. Per tantissimi motivi. Ma vogliamo fermarci sui motivi? Oggi proprio non mi va. Sono arrabbiato con me stesso. Che cazzata. Che vogliamo fare la guerra con noi stessi? E chi vince poi caro Gianpaolo, dicci un po? 


M. “Io ti voglio bene comunque, tu fai come preferisci. Va bene. Io ti voglio bene e non sono arrabbiato con te. Te si.  A me va bene così. Fine, soluzione arrivata. La tua rabbia non costituisce alcuna offesa verso l’amore che ci unisce. Fine.”

Gp. “No
M. “Io ti voglio bene, che c’è da capire? Io sto benissimo, guarda qui, una meraviglia, stiamo in un posto splendido e ti voglio bene sia se sei triste che se sei arrabbiato. Qualsiasi cosa fai, qualsiasi cosa dici, in qualunque modo muovi la bocca e il corpo, i corpi sono belli e io gli voglio bene. Sto qui e passo l’eternità così. Ah quanto ti voglio bene. Tu fai quello che vuoi. Poi comunque a mezzogiorno la pasta è pronta!

Questa frase la dice spesso Marco. È una frase che direbbe una mamma ai figli che giocano nel prato di domenica mentre sta preparando il pranzo per tutti: “giocate pure alla guerra o a guardie e ladri, fate finta di morire, di vincere o perdere, addormentatevi, sognate, fate come volete, a mezzogiorno la pasta e pronta! Che avevate creduto che era vero figli miei? Ma stavate giocando, vi ho visti, non c’è nessuna guerra, non siete morti, siete stati al sole a divertirvi, come sempre.”
Pensate al punto di vista di Dio, senza tempo, cosa sono 100 miliardi di anni? Da una prospettiva eterna, di assenza del tempo, cosa sono 6 trilioni di ere? Nulla, è tutto fermo. Il risveglio arriverà per tutti, noi possiamo solo decidere quando, in un lasso di tempo che per l’eternità equivale ad un nostro attimo! Stiamo facendo un sogno, ci siamo addormentati, un attimo, al sole sul prato, a mezzogiorno in tutti i casi la mamma ci sveglia perché è pronto il pranzo. Tutte le storie che ci siamo raccontati nel frattempo erano solo un sogno. 
Che sole che c’è oggi! Fa caldo come in estate. Gli insetti intorno non ci sono più. Io voglio stare bene mi sono stancato di questa sofferenza. Basta zaini. Marco mi vuole bene, lo conosco da anni, mi ha già portata oltre il pensiero, oltre la mente, oltre l’ego. Voglio dargli fiducia incondizionata, voglio darmi fiducia incondizionata, voglio uscire dalla caverna, mi sono stancato.


Gp. “Vieni a guardare con me.
M. “Io vengo per te, sei sicuro che vuoi guardare? Prima avevi detto di no, che volevi odiarti, essere arrabbiato…”

Gp. “Ho cambiato idea!”
M. “Lo vuoi davvero?Io sono sceso dai piani sopra perché mi hai chiamato, non faccio su e giù per un capriccio.”


Ho capito cosa sta succedendo. Non sto parlando con Marco Canestrari ora, col suo corpo, quello è un mezzo attraverso cui si sta esprimendo la fonte, l’intelligenza, il padre, Dio. E’ già successo, sto parlando con il boss, col capo di tutto, con il mio creatore. Ora lo vedo, un brivido mi percorre la schiena. Ma sta succedendo a me? Proprio a me? Io mi lamentavo che una misera penna alla cassa  del negozio non scriveva bene, una cosa piccola, ed è arrivato l’amministratore delegato della azienda mondiale che produce tutte le penne da poco eletto presidente del consiglio del governo planetario! “Accidenti signore, ma io non volevo scomodarla” penso. Mi sento piccolissimo di fronte a una tale magnificenza ed energia, una tale perfezione logica e di cuore. Mi sento in soggezione. “Che facciamo Gianpaolo? Torniamo a casa? Adesso l’abbiamo chiamato, abbiamo smosso fino a su all’ultimo piano, che si fa? Come sempre? Diciamo che c’eravamo sbagliati, che ci va bene così!”. No, stavolta no, stavolta si va fino in fondo. Supero la soggezione di essere al cospetto di qualcosa di inspiegabile e apro la bocca:

Gp. “Voglio guardare.
M. “Vuoi guardare qualcosa in particolare o vuoi “guardare”?
Gp. “Voglio guardare.


Ci siamo. Ho appena dato il pass per entrare dentro di me e farmi risvegliare. La fonte non sbaglia mai, se invitata entra e fa il suo lavoro, con una precisione chirurgica penetra partendo dal centro, dalla cpu, dal processore del computer e guida tutti i processi dal principio. 

Arriva la prima scossa.

M. “Chi è che vuole guardare?

Mi sento confuso, ricordo una sensazione simile all’ultima volta che mi sono illuminato. La sensazione concerne l’Ego. Sento che ne sono ai bordi, che tutta la struttura del mio pensiero, che sono solito percepire ben salda, si regge ora solo su di uno stecchino di legno sottilissimo. La basi stanno per venire a mancare. Marco ha lavorato bene durante le conversazioni precedenti, facendo muro ad ogni mio tentativo di odio, mostrando di fronte ad esso solo amore; continuando a ripetere che non c’era nulla, nulla da capire. Ora, con questa domanda, da un calcetto leggero anche all’ultimo stecchino: “Chi è che vuole guardare?”. Accidenti chi è? Dove sono? Il pensatore, la mia mente intendo, il mio punto di vista soggettivo. Ora vedo chiaramente perché Marco consiglia sempre, quando si medita, di porre l’attenzione sull’osservatore, non sul contenuto di ciò che si osserva, non sui pensieri ma su chi li fa, su questa fantomatica entità chiamata Ego. Dove sta? Sento le pareti tremare, è un misto tra eccitazione e paura solo che stavolta la paura cala velocemente; io sono già stato qui, sono già stato in questo posto, ho avuto molta paura ma poi è stato bellissimo, proseguo, non mi fermo, vado avanti, qualsiasi cosa accada io sono pronto a guardare. Marco mi prende le mani e me le alza, io sono davanti a lui, siamo seduti; dietro c’è uno sfondo bellissimo, l’erba alta del prato mossa dal vento, distese verdi che respirano calme e vaste colline colorate, colori accesissimi, al centro lui, la mia guida, che mi guarda negli occhi, sorride:


M. “Vuoi vedere la verità?

Gp. “Si.


Sento un tumulto dentro di me, trema tutto, sta per succedere qualcosa che non mi aspetto, lo so. Andiamo avanti.


M. “Non c’è niente da guardare. Niente, che c’è da guardare? Solo questo.”  


Marco si indica il corpo, la faccia, le guance, le braccia.



M.  “Questo, un formica, il prato. Niente di quello che tu mi portavi prima come problema. Dove stanno questi problemi?


Io lo so dove sono Maestro:


Gp. “Nella mente.

M. “Ah!E dove sta questa mente? Controlla se c’è qualcos’altro oltre a questo. Nella realtà.
C’è la mente? Esiste la mente tu dici? Come ti sbagli figlio mio. Dove sta questa mente? Ma che te l’hanno raccontata e tu la ripeti? Se ne parlava molto nel passato, ma non ci sta. Vogliamo vivere o no?

Un ponte è stato appena creato tra me e il tutto. Vedo con occhi nuovi e un sorriso spontaneo si apre dentro e si manifesta fuori di me.

M. “Ci sono i denti, che ridono, le voci laggiù. C’è tutto quanto ma la mente dove sta?


Guardo e non la trovo. Non la trovo! Non c’è la mente. Non c’è nulla di mentale, un pensiero, un’idea, un’immagine. Ma dove stanno? Ci sono gli alberi, le colline, c’è Marco, il prato. La mente non esiste, non c’è. Mi si spalanca la bocca e rido, piango e rido contemporaneamente, di stupore, di gioia. Singhiozzi di emozione. Sono come una statua che dopo secoli di immobilità si alza e inizia a camminare. Il pianto è una vibrazione, uno sgrullarsi di dosso la polvere. Poi via, sono vivo, che meraviglia!


M. “Dove stava questa mente? Se ne parlava, malamente, ma non ci sta! Chi te l’ha raccontata questa cosa? Un lupo cattivo? Se vuoi vedere, questa è la realtà. Non c’è spazio nemmeno per crearselo il problema. Non c’è la mente. Che altro c’è? Il pane, vuoi il pane? Tieni. Se mi vuoi parlare di cose serie chiedimi un pezzo di pane.

Marco mi porge un pezzetto di pane. 

M. “Fammi domande serie no? Oh ma ti ricordi che un’ora fa mi chiedevi se tu esistevi mentre già facevi una domanda? Ma se mi fai la domanda esisti o no? Ma c’è bisogno di chiederlo? Ma che stiamo facendo? Che facciamo passiamo tutta la vita a dire “Ma io esisto o no? Be si secondo una filosofia si secondo una filosofia no”.

Davvero, quant’è complicato creare una mente. Quanto è complicato e faticoso, quanto è poco produttivo, poco utile. Quanto si sta bene invece qui, senza pensieri, nella realtà, nel prato. E io che pensavo mancasse qualcosa al prato, a me, a tutto. Invece non manca niente, c’è già tutto. La sensazione che sento è quella di stare a casa. Sono a casa, al sicuro, non c’è niente di brutto che può accadere, è tutto perfetto.


M. “Quando ti rimetterai a pensare e ricrederai al fatto che c’è la mente, ti starai di nuovo sbagliando. Ti confonderai, non c’è la mente. Allora verrai da me e io ti dirò: “Controlla bene! Non c’è”. E tu: “Ah non c’è, hai ragione”. È una confusione, uno sbaglio, non è vero che c’è. Ci sono le persone, la gente che cammina, i prati, più semplice di così, lo sanno pure le formiche, gli uccelli, lo sanno tutti e stanno tutti qui, respirano, vivono, muoiono. E tu mi chiedi che devi dire, che devi fare, come devi muoverti. Per me puoi muoverti come ti pare, guarda qua, è tutto tuo il prato. Che domande mi fai? Vuoi fare un’architettura mentale? Mi chiedi quante ore dobbiamo meditare? 15, 12…Paolo, Ugo…Che importa? A me va bene anche così, pure nessuna ora, ma perché, così non va bene?


Mi sento benissimo. Marco sta mostrandomi quanto non serva proprio nulla a noi per essere felici. Io prima avrei reagito malissimo alla frase “ma perché così non va bene?” perché proprio non mi andava giù, mancava qualcosa. Ora guado, così già va bene.

M. “Quando ti avvicini alla verità è così, come vedi adesso. Poi se vuoi ti allontani e ti rimetti a sognare per duemila anni, stai li, e ti fai un sogno.
Gp. “Mannaggia, che peccato!

Marco ride.
M. “Si, si chiama proprio peccato, questa è la parola. Non si chiama sbaglio. Perché significa: ti voglio bene uguale, ma sarebbe molto meglio così.” 


Rido di gioia e di distensione. Marco mi propone di godermi lo stato in cui mi trovo.



M. “Goditelo dai! Adesso sai cos’è importante? Che i tuoi muscoli stiano bene, i tendini, i nervi. Prenditi 10 minuti così, ti rigenerano. Quelli sono veri, i muscoli, i tendini. E la mente che non c’è.

Gp. “E sono veri si, senti qua.” 
M. “Lo senti come l’hai trattati male? Goditelo nel corpo, riprenditi. Le chiacchiere stanno a zero. Di fronte alla verità non ci sono chiacchiere.

Il mio corpo che si rilassa mi fa sentire quanto l’ho tenuto in tensione finora. Sento come se qualcosa stesse rigenerando le mie cellule, come se fossi attaccato ad una presa, ma non di corrente, di benessere. Marco nel frattempo, sorridendo fa una provocazione:

M. “Ora il pensiero ti dice subito: scrivici un articolo!

E’ vero! Me lo dice, sussurra, come un consigliere malfidato di un Re distratto e molto generoso. Sussurra, serpeggia. Io lo vedo ma ne rido. 


Gp. “Dice cose molto peggio!



Ridiamo


M. “E te ci credi? Credici se vuoi!

Rido di gusto. Mi rilasso, sto dieci minuti consecutivi a ridere e letteralmente godere di uno stato di benessere superiore a qualsiasi altra sensazione mai percepita. Sento sempre il pensiero che suggerisce frasi, lontano, bisbiglia. Il pensiero parla, ma perché dovrei ascoltarlo? Scegliamo noi cosa fare, ogni momento, se guardare la televisione e credere a cosa ci dice oppure andare fuori e toccare con mano; se ascoltare il pensiero e credere a ciò che dice, oppure guardare la realtà. Marco arriva da dietro di me.

M: “Tieni senti che bel regalo, non i ragionamenti.”


Mi da un cetriolo sbucciato.



Gp. “Senti quanto è fresco!


E’ buonissimo, è bello da tenere tra le mani e da assaporare, è come se io stessi mangiando un cetriolo per la prima volta. Anzi, non è come…sto mangiando questo cetriolo per la prima volta, sto facendo tutto per la prima volta, la prima e l’ultima. Che meraviglia, questo significa vivere nel presente. Mi sento energico e sicuro, prendo le decisioni senza paura di sbagliare.

M. “Vuoi passeggiare o restare qui?
Gp “Restiamo.

Quanto mi sarebbe costato prima decidere anche una cosa così semplice. E se poi lui voleva camminare? E se poi dovrei camminare anche io perché è da tanto che siamo sdraiati sotto il sole? E se poi…
La mente è uno strumento che ci distrae, ci appesantisce. 


M. “E pensa che io sto sempre così con te. Che ti vedo che sei indeciso, mi chiedi, ma a me che mi frega di quello che fai? Ti voglio bene. Le puoi provare tutte, la pena, la compassione, l’autocommiserazione, il controllo, fai un po’ come ti pare, se ti piace più di questo!” [Ironico] 


Ridiamo insieme. Non esiste possibilità di concorrenza a uno stato simile. Non esiste. E’ proprio vero, ci stancheremo tutti, l’uomo si stancherà, smetterà di soffrire, di avere paura, di essere schiavo della mente. Smetterà, non perché sarà costretto, semplicemente perché questa cosa qui che provo ora, questo stato qui che sento, così forte, è qualcosa di spettacolare e rigenerativo che non ha concorrenti, non lascia spazio a sfide o confronti. 

In quello stato, come accadde l’ultima volta, non avendo il bisogno di difendersi da i mille attacchi che l’ego si auto-infligge, c’è lo spazio per ricevere intuizioni profonde. 

Gp. “Ho capito! La soluzione a tutti i problemi è davvero non pensarci! Ma non, pensare di non pensarci, no pensarci proprio!

Non usare la mente, in maniera completa, non pensare di non usarla. Il pensiero dice subito: “Ma allora come risolvi se non ti occupi del problema? Non sei così un menefreghista che lascia tutto allo sbando?” La risposta è semplicemente: no. Senza la preoccupazione e il pensare, senza il tiranno della mente che porta paure e automatismi, agisci, come agivi anche prima, ma con più risolutezza, con maggiore forza, senza ostacoli tra te e la tua volontà. 

M. “Fidati che questa cosa è stata detta!


Sono 6 anni che diciamo sempre le stesse cose sul pensiero. Un conto però è capirle razionalmente, un contro è vedere il fatto, comprenderlo, assimilarlo. Non è conoscenza, è di più, è la tu consapevolezza, sei tu,  come qualcosa che viene scritto sulla pietra. Qualcosa che diventa quella pietra. Un’altra intuizione scende. Penso a Fauno che mi è accanto. Prima volevo in tutti modi che fosse diverso, che fosse più felice di com’è e pensavo che questo fosse il vero voler bene. Ora è cambiato qualcosa, mi va bene così, cedo la sua volontà come vedo la mia e la rispetto, la amo. Mi arriva finalmente con chiarezza quello che Marco mi dice da tempo: la massima forma di voler bene è quella che lascia la libertà di fare ciò che si vuole. Io ti voglio bene a prescindere da quello che fai, se no che bene è. E ancora di più, massima forma in assoluto, puoi anche decidere di soffrire, morire, fare quello che vuoi, sei libero. Io non ti aiuto se vuoi morire, farai da solo, ma non te lo impedirò perché siamo tutti Re. Mentre vedo limpida dentro di me questa nuova informazione, gli occhi vengono chiamati da un insetto molto grande appoggiato sulla cima di uno stelo di fronte a me. È gigantesco, nero, un coleottero bellissimo con dietro il cielo e le distese d’erba. Sembra un’anziana signora che si riposa al sole. Quanto è fragile e meraviglioso. Penso a prima, quando ho accusato gli insetti che occupavano il mio spazio e mi arriva subito un’altra intuizione di perfezione. Ma come potevo accusarli? Li abbiamo sfrattati abbassando l’erba e posizionando i teli, è normale che vengano almeno a vedere chi siamo. Anzi che accusarli, ringraziamoli, ringraziamo la natura e gli animali che si fanno fare qualsiasi cosa. Ringraziamoli e rispettiamoli, sono nostri coinquilini, ci dividiamo la casa. Il pensiero di gratitudine si allarga in fretta. Ma che cosa è successo oggi? Qualcosa di unico, magico. Ringraziamo Marco e ringraziamo Gianpaolo. Ringraziamo chi ha creato una giornata così speciale. Marco mi prende la mano e si mette a meditare. 


M. “Visto che sei più pulito, apriamo un altro canale, mi faccio mezzo della fonte e ti passo un po’ di cosette.” 

Siamo ora uniti ad un piano che non pensavo nemmeno esistesse. Sento un calore benefico venire a me da quella mano. Il pensiero si affaccia e poi tace. Senza spiegarmi il perché ne pensare a nulla inizio a ridere di gioia. È bellissimo, come se l’amore ti facesse il solletico e contemporaneamente ti curasse.

M. “Io sono sia nel tuo corpo che nel mio, non esisto solo in un corpo, vivo eternamente e ovunque.”

Nonostante il legame profondo che ci lega nasce dentro di me una domanda:

Gp. “Ma tu chi sei?
M. “Sono te”.



Veio, 9 Aprile 2015