DI JIDDU KRISHNAMURTI
L'esperienza è una cosa e sperimentare un'altra. L'esperienza è una barriera allo stato di sperimentazione. Per piacevole o orribile che sia, l'esperienza impedisce il fiorire della sperimentazione. L'esperienza è già nella rete del tempo, è già nel passato, è divenuta un ricordo che viene in vita soltanto come risposta al presente. La vita è il presente, non l'esperienza. Il peso e la forza dell'esperienza adombrano il presente, e così la sperimentazione diviene l'esperienza. La mente è l'esperienza, il noto, e non può mai essere nello stato di sperimentare; perché ciò che essa sperimenta è la continuazione dell'esperienza. La mente conosce soltanto la continuità e non può mai ricevere il nuovo finché esiste la sua continuità. Ciò che è continuo non può mai essere in istato di sperimentazione. L'esperienza non è il mezzo di sperimentare, la sperimentazione essendo uno stato senza esperienza. L'esperienza deve cessare perché la sperimentazione cominci.
La mente può invitare soltanto la sua propria proiezione, il cognito. Non può esservi sperimentazione dell'incognito se non quando la mente cessi di sperimentare. Il pensiero è l'espressione dell'esperienza; il pensiero è una reazione della memoria; finché intervenga il pensiero, non potrà esservi sperimentazione. Non vi sono mezzi, metodi per porre fine all'esperienza; perché gli stessi mezzi rappresentano un ostacolo allo sperimentare. Conoscere il fine è conoscere la continuità, e avere un mezzo per il fine è sostenere il cognito. Il desiderio di conseguire deve dissolversi; è questo desidero che crea i mezzi e il fine. L'umiltà è essenziale per la sperimentazione. Ma come la mente è sollecitata ad assorbire in esperienza la sperimentazione! Come è pronta a pensare al nuovo, facendolo così antico! In questo modo essa stabilisce lo sperimentatore e lo sperimentato, cosa che genera il conflitto della dualità.
Nello stato di sperimentazione, non c'è né lo sperimentatore né lo sperimentato. L'albero, il cane e la stella della sera non devono essere sperimentati dallo sperimentatore; essi sono il moto stesso della sperimentazione. Non c'è divario fra l'osservatore e l'osservato; il pensiero non ha tempo né intervallo spaziale per identificare se stesso. Il pensiero è del tutto assente, ma c'è esistenza. Questo stato di esistenza non può essere né pensato né meditato, non è cosa che si possa conseguire. Lo sperimentatore deve cessare di sperimentare, e soltanto allora c'è esistenza. Nella tranquillità del suo movimento essa è senza tempo.