DI LUCA DIOTALLEVI
"Rabbia, stress, impulsività, paura, rassegnazione, mancanza di empatia, mancanza di partecipazione diretta e di cooperazione verso le questioni sociali. E' il quadro di una nuova società che sta prendendo forma: violenta, egocentrica ed incapace di rapportarsi positivamente con il prossimo. Se un problema ci riguarda direttamente reagiamo con aggressività, se invece il problema si diffonde intorno a noi senza toccarci personalmente allora lo lasciamo crescere, rimanendo passivamente in attesa come degli spettatori distaccati" - Marco Canestrari
Una donna riceve un pugno in pieno volto dopo una discussione nella stazione della metropolitana dell’Anagnina e finisce in coma. A Milano un tassista viene aggredito e ridotto in fin di vita per aver investito un cane. Quest’estate, nel capoluogo lombardo, un’altra donna era stata uccisa in strada a pugni da un uomo preda di un raptus di follia, mentre è di ieri la notizia di un anziano che ha accoltellato a morte una vicina di casa e ne ha ferita un’altra nel fiorentino: non sopportava i cani delle due donne. Episodi di violenza quasi quotidiani, balzati agli onori della cronaca per la loro brutalità e gratuità, spesso consumati nell’indifferenza di quanti si trovano ad assistervi. Per capire cosa sia saltato nel meccanismo sociale, abbiamo incontrato Luca Diotallevi, professore associato di Sociologia all’università di Roma Tre.
Luca Diotallevi, da dove nascono episodi di violenza come quelli accaduti nei giorni scorsi?
Gli eventi a cui abbiamo assistito in questi giorni non sono occasionali ma caratterizzano tutte le società cosiddette “evolute” e in Italia accadono con una certa frequenza e intensità, spesso per futili motivi. La violenza che li caratterizza è come l'acqua in una bottiglia: se il contenitore si rompe, il liquido si disperde e diviene incontrollabile. Le bottiglie capaci di contenere e arginare l'acqua della violenza sono le autorità e le istituzioni. Queste due strutture sociali esercitano un uso razionale, prevedibile, limitato e responsabile della violenza, tali da rendere la violenza stessa un ingrediente sociale positivo perché diventa sanzione solo in determinate circostanze.
Le istituzioni e più in generale le autorità, dunque, sono in crisi.
Sì, la crisi delle istituzioni e delle autorità può manifestarsi nell'eccesso di lassismo o, viceversa, nell'enfasi dell'autoritarismo. Dopo gli anni Sessanta e Settanta, le istituzioni sociali sono riuscite sempre meno ad esercitare le loro funzioni. In quel decennio, di contro, c'è stato il definitivo compiersi della società degli anni Trenta, Quaranta e Cinquanta: sono migliorati l'istruzione, il reddito medio delle famiglie e tanti altri aspetti della vita quotidiana. Ad una società “cresciuta”, però, non hanno corrisposto istituzioni adeguate: tendenzialmente oggi hanno perso autorevolezza i genitori, i giudici, i giornalisti, i sacerdoti, gli scienziati e tante altre categorie sociali. Oggi come nel '68 siamo preda dell'idea che possa esistere una società senza autorità e abbiamo costruito una caricatura di modernità.
Questa concezione può portare ad episodi di violenza come quelli visti a Roma e Milano?
Certamente. Quarant'anni fa era scontato che a una signora non si potesse rispondere alzando la voce, altrimenti sarebbe arrivata una “sanzione”. Oggi non è più così. E queste sanzioni non sono solo “familiari” ma devono essere intese a livello più ampio: la società italiana è cresciuta ma le istituzioni che avevano permesso tale crescita – penso alla grande funzione della scuola negli anni Cinquanta – non essendosi riformate non riescono a gestire il successo che hanno prodotto.
In cosa dovrebbe consistere questa riforma?
Le istituzioni dovrebbero mediare, a un livello più elevato, rispetto e libertà: la caratteristica delle società moderne, infatti, è una maggiore libertà individuale e più rispetto del bene pubblico.
L'indifferenza di quanti si trovano ad assistere a questo tipo di aggressioni fa spesso da cornice ai fatti di cronaca: i passanti assistono al pestaggio ma nessuno interviene.
Quell'indifferenza non va letta come complicità, si tratta di vera indifferenza dovuta al fatto che le persone non sanno più come reagire. Mentre prima si sapeva quale atteggiamento era permesso e quale vietato, adesso una certa cultura permissiva – che è l'esatto contrario di quella liberale – e in qualche caso autoritaria, ha privato il cittadino di alcuni comportamenti: di fronte a un pugno sferrato da un giovane a una signora, la gente non sa se approvare o disapprovare un determinato evento poiché non è più allenata alle istituzioni sociali né al discernimento.
FONTE: ROMASETTE