DI ENRICO GALAVOTTI
Se si educa l’essere umano a pensare in maniera negativa, abituandolo a osservare solo “il male del mondo”, quando questo male lo toccherà in prima persona, la sua reazione sarà inevitabilmente istintiva e scomposta. Egli infatti, non essendo stato abituato a trovare le soluzioni più giuste per tutti i problemi, sarà indotto a pensare che il modo migliore per risolvere quel problema che lo riguarderà personalmente, sia l’uso della forza o della violenza.
Ecco perché chi dispone del potere della comunicazione di massa ha una grande responsabilità: o usa i media in maniera educativa o li usa in maniera diseducativa. L’informazione non può mai essere neutrale, neppure quando dice di voler separare i fatti dal commento. Nel momento stesso in cui si sceglie di comunicare un fatto invece che un altro, ci si sottopone al rischio di influenzare negativamente la psicologia delle masse. Quando si è costantemente abituati a osservare violenze d’ogni genere (in film, telegiornali, documentari), la gente comune (soprattutto quella meno consapevole o più qualunquista) si fa l’idea che quella sia l’unica realtà possibile e che di fronte a una realtà del genere l’unica soluzione praticabile sia quella di usare gli stessi strumenti, possibilmente con più astuzia, con meno scrupoli morali, per potersi affermare meglio e prima degli altri. Una visione costantemente negativa della vita parte da una concezione individualistica e disperata della vita e porta inevitabilmente a tale stile di vita. La disperazione porta alla violenza, sugli altri e anche su se stessi (quando ci si accorge di non avere più risorse).
Dobbiamo abituare gli esseri umani a pensare in positivo, non per illuderli che la realtà sia senza problemi, non per restare ciechi di fronte alle contraddizioni, ma per avere fiducia nelle proprie capacità, per credere nella possibilità di cambiare le cose, col contributo di tutti. Il fascismo è sempre il prodotto di una lenta evoluzione della società verso l’accettazione dell’immoralità e della corruzione. Il fascismo non nasce perché qualcuno in particolare lo vuole. Nasce perché i tanti che al momento opportuno non avevano fatto nulla di positivo, si ritrovano a non avere la forza sufficiente per opporsi a un male che si presenta sempre con il volto della “salvezza”. Chiunque attende la venuta di un “messia”, vive una concezione individualistica e quindi fatalistica dell’esistenza. Si attende un “liberatore” appunto perché ci si ritiene incapaci di affrontare e risolvere i problemi sociali, e anche perché si ritiene che le masse non siano in grado di risolvere alcunché se non vengono guidate con la forza. Il fascismo è la radicalizzazione dei mali dell’individualismo: è la pretesa di risolvere in maniera autoritaria le contraddizioni antagonistiche della società borghese. Finché gli uomini non si abituano a gestire in maniera collettiva, partecipata, le risorse di cui dispongono, per risolvere i problemi che si presentano, il pericolo del fascismo sarà sempre dietro l’angolo, sia esso di destra o di sinistra. Solo le sue sembianze cambieranno, per poter ingannare le nuove generazioni (le quali si illuderanno di non essere “fasciste” solo perché diranno di non voler ripetere gli errori del passato).
Il colmo dell’ipocrisia infatti avviene quando in nome del collettivismo o del populismo si affermano princìpi fascisti. Lo stalinismo non è forse stato un fascismo di sinistra? E il fascismo italiano non è forse nato coll’intenzione di realizzare gli ideali del socialismo? E il nazismo non si chiamava forse “nazional-socialismo”?
Ecco perché il fascismo più pericoloso non è mai quello che inizialmente si presenta per quello che è, bensì quello che si maschera con le sembianze dell’anti-fascismo.
FONTE: HOMOLAICUS