lunedì 24 gennaio 2011

Modi di Dire, Modi di Influenzare

DI DANIELA COIN

listening

Una madre entra nella camera del figlio che dorme. Apre la persiana: "Vestiti che oggi fa freddo"; il figlio, a letto "Ma che tempo fa?"; la madre "E' brutto!". Il ragazzo si alza, la madre gli presenta la colazione: latte, brioche "Mangia che ti fa bene". Dopo mangiato, il ragazzo prende la giacca per uscire. E' sull'uscio quando ode "Copriti bene che ti prendi l'influenza". La stessa madre la sera prepara la cena, lo stesso figlio è al pc che chatta con gli amici, la madre: "Vieni a tavola, è ora di cena". Il figlio si siede. La madre "Ti ho fatto la bistecca, mangiala che ti fa bene e ti fa crescere!". Dopo cena il figlio decide di uscire. La madre "E cambiati le mutande che quelle che hai addosso hanno un buco. Che se fai un incidente mi fai anche fare brutta figura", "E va piano con quella macchina che ti ammazzi prima o poi".

Certe frasi e modi di dire, di giudicare, sono talmente insiti in noi che siamo portati a ripeterli spesso solo perché li abbiamo sempre sentiti dire. Si chiamano giudizi e sono accezioni che ci allontanano totalmente dalla realtà e ci abituano a non percepire con il nostro corpo ma a farci dire cosa dobbiamo fare e sentire. Ne consegue un'inevitabile distorsione della realtà ed autosuggestione. Questo ci porta ad agire in base ad autoconvinzioni e, quindi, senza analizzare il presente reale, a prendere, o non prendere, decisioni concrete e fertili. Ad esempio, dire una cosa come "non ce la farò mai" spesso dipende da una mancanza di sicurezza personale nella propria capacità di riuscire in qualcosa. E' un modo come un altro per deresponsabilizzarsi e per tutelarci dall'eventuale batosta della non riuscita. Il punto è che questa affermazione, che a volte accenniamo anche così, per scherzo, tra amici, non fa altro che predisporre il nostro io ad un evento negativo, passivo. Alla non riuscita premeditata. Invece di spingere la positività e dunque predisporre il corpo all'azione e caricarlo di energie per affrontare il nostro obbiettivo, ci posizioniamo, con questa frase, in un atteggiamento difensivo e di delusione preventivata. Il corpo, così, si chiude; si prepara alla difesa, carica energie in difesa per un evento che non accadrà a breve e ci proietta nel "dopo", causando la mancanza di vibrazioni positive per il presente che dobbiamo affrontare nell'immediato. Non serve uno psicologo per affermare che questo atteggiamento, se si vuol perseguire un qualsiasi obbiettivo, molto o poco importante, è deleterio ai fini della riuscita.

L'abitudine "compulsiva" umana che etichetta, giudica e classifica, predispone ogni società ormai da numerose generazioni a vivere in una tenebrosa illusione che incenerisce ogni intensa colorazione presente e ci fa vedere la realtà con gli occhi spenti, dimenticando di farci coinvolgere da quella forza misteriosa e sempre nuova attraverso la quale ogni creatura vivente affronta ogni giorno ed ogni momento presente. Spegnere questi condizionamenti imposti e limitanti facendo spazio alla curiosa esplorazione ed osservazione è uno dei modi per poter vivere ogni esperienza e quindi ogni momento con assoluta autenticità ed essenza.

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