DI MARCO CANESTRARI
Nei paesi a “democrazia controllata” troviamo spesso alti livelli di stress, tensioni sociali e minacce dietro ogni angolo. Tutti contro tutti. Rabbia, offese e sopraffazioni sono all’ordine del giorno anche in TV e gli eroi di questi tempi sono scaltri, egocentrici e combattivi. Le generazioni figlie di queste pseudo-democrazie vivono nel terrore di sembrare deboli e di mostrare una personalità poco determinata. La regola percepita è: chi dà l’immagine di una persona debole verrà facilmente prevaricato. Molti giovani quindi, per proteggersi, apprendono fin da piccoli che devono affrontare il prossimo pieni di sé, difendendo qualsiasi opinione o preferenza con forza e fermezza, senza cedere mai. Non bisogna lasciarsi sfuggire nessun'occasione per affermare la propria personalità: su ogni cosa si è spinti a giudicarla, a dire “mi piace” o “non mi piace”, anche quando non si hanno sufficienti competenze o informazioni per prendere una parte così decisa.
Sotto queste condizioni, chi si apre al mondo con occhi puliti, affrontando ogni possibilità senza preconcetti, mettendo in discussione ogni certezza e facendosi domande a 360 gradi può sembrare una persona debole ed inconcludente e rischia di essere sopraffatto da chi si fa strada a gran voce sparando frettolosamente sentenze. Chi offende o provoca pubblicamente invece acquisisce visibilità, e questo gli permette di imporsi meglio come personaggio vincente, forte e furbo. In un mondo in cui ognuno è spinto ad avanzare facendosi strada a spazzaneve, imponendo combattivamente il proprio io sugli altri, la possibilità di mettersi in discussione e rivalutare con serenità le proprie certezze diventa terrorizzante, potremmo facilmente venire schiacciati dal primo che passa. Si vive l'altro come invasore e si sviluppa una vera e propria repulsione verso chi vuole insegnarci qualcosa. Mettendo da parte l'apertura verso l'altro, viene limitata l'evoluzione collettiva e la capacità di migliorarsi a vicenda, che invece, di fronte a questi malesseri sociali, dovrebbe essere una delle prerogative principali. Con il tempo, senza riferimenti e chiusa in se stessa, la popolazione degenera verso il relativismo spicciolo: non esiste nessun altro parametro di riferimento oltre al gusto personale e i media diventano i nuovi educatori della società.
Come si può arginare questa degenerazione sociale se le coscienze sono così disabituate ad interagire costruttivamente? Se vogliamo partecipare ad un reale miglioramento della società bisogna lavorare soprattutto alle basi gettando le fondamenta per una nuova struttura di informazione e di educazione, al passo con i tempi e capace di fare fronte a problemi mai esistiti prima. L’educazione, se vuole essere efficace sulle nuove generazioni deve rinnovarsi completamente, deve essere capace di aprire le coscienze senza utilizzare metodi severi e autoritari né arrogarsi da sola il ruolo di “detentrice del sapere”, o peggio, utilizzare l’imposizione. Tutto ciò non avrà successo, infatti, viene oggi percepito come una minaccia e non favorisce la necessaria presa di coscienza. Bisogna scendere in prima linea e promuovere nuovi metodi dove è la qualità stessa dell’indagine e degli insegnamenti a dimostrare il suo valore sul campo e a conquistare credibilità in chi ascolta. Il futuro della comunicazione è nei contenuti, verificabili, contestabili e migliorabili da chiunque. Con il continuo perfezionamento degli strumenti di diffusione del Web, il numero di interazioni fra gli utenti crescerà a dismisura e così anche il numero di fonti di informazione da poter scegliere a piacimento. Saranno gli alunni stessi, l’intelligenza collettiva della popolazione, a decretare di volta in volta il successo o l’insuccesso di questo metodo o di questo insegnante in un continuo riadattamento. Non ci si può più sedere sugli allori e pretendere di essere ascoltati con fiducia mettendo avanti il “titolo acquisito” o una “decisione dall'alto”. Chi continuerà a farlo sarà semplicemente scartato dalla collettività a favore di altri e presto andrà in estinzione. Non vi è altra strada, bisogna insegnare l’arte del dubitare, ma senza cadere nella trappola di sembrare inconsistenti o incerti… infatti, il dubbio non è debolezza ma l’inizio della conoscenza.
Quando insegni, insegna allo stesso tempo
a dubitare di ciò che insegni