domenica 14 dicembre 2014

Dalla Mente al Cuore: In Viaggio con Marco Canestrari

DI DIEGO DE NEVI


Scrivo questo articolo spinto dalla voglia e dal piacere di condividere con tutti voi i benefici che ho avuto da una seduta di aiuto individuale in meditazione con Marco Canestrari. Riconoscendo l'importanza e il valore di ciò che ha fatto per me, vorrei che da queste mie parole si percepisse la profonda gratitudine che provo nei confronti suoi e di quello che ho ricevuto.

La prima cosa che ho percepito in questo "viaggio meditativo" con Marco è stata l'importanza della nostra volontà nel lasciarsi aiutare, nell'uscire dal guscio. Noi mettiamo il limite oltre al quale non vogliamo scendere in profondità, oltre il quale non andare a guardare. Un aspetto che sicuramente è di fondamentale importanza nell'aprirsi è il sentirsi protetti, tranquilli. Fa davvero la differenza nel passare da un piano puramente razionale ad uno emotivo. Un primo e decisivo passo emotivo lo faccio dopo aver tentato un piccolo gesto di affetto verso Marco che mi chiede "Perché solo un pochino? Perché ti trattieni? Semmai è quella la parte da incoraggiare". E' un grosso colpo, stavo trattenendo le cose belle, amorevoli! Non appena si inizia ad abbandonare il livello razionale ci sente un po' dispersi e qui Marco è fondamentale per non perdersi, non andare a chiudersi in un vicolo cieco. La nostra volontà appare come quella di volerci infilare in qualche angolo della mente, in mezzo alla vecchia e "confortevole" sofferenza. Utilizzo la parola confortevole perché noto che come ho degli "sblocchi" verso la felicità, torno subito indietro. Marco chiede se siamo dei nostalgici del dolore? Sembra di sì. La sofferenza non ci piace eppure non vogliamo abbandonarla. Il processo sembra essere un ricontrollare 800000 volte prima di abbandonare la sofferenza. Tutto ciò mi risulta piuttosto assurdo, ma pare proprio essere così. Avevamo iniziando la meditazione dicendo: "La felicità ci piace, la sofferenza no. La libertà ci piace la schiavitù no. Tutti d'accordo? - Sì!" Ora però non ne sarei così sicuro. Ma davvero abbiamo i dubbi su queste cose? Cosa stiamo sostenendo? Che ci piace la sofferenza? Mi sento confuso. Ma la sofferenza, la paura non mi piacciono. Così insieme a Marco vado sempre più in profondità, volendo togliermi una paura dallo stomaco che proprio non mi piace.

Andando avanti, mentre scanso macigni su cui da solo mi sarei fermato credo anni, arrivo ad un punto, dove Marco mi chiede se voglio levare la paura, mi offre la possibilità di farlo adesso. Rimango fermo qualche secondo e poi dico “togliamola”. Ma come? Hai tentennato quando ti è stato chiesto di togliere la paura? Dopo anni a lamentarsi della paura, a dire che è brutta, viene data la possibilità e tentenno? È scioccante, una bomba che esplode dentro. Cosa posso dire dopo questo avvenimento? Di che cosa mi posso lamentare? Non so e non credo di poter affermare niente in questo momento. È una bella gatta da pelare per la mia mente, che non sa più a che cosa appigliarsi. È come trovarsi a nudo. A chi do la colpa ora? Chi accuso? Con chi me la prendo? (Ho la sensazione di stare sbagliando su tutto ed è molto ricorrente). Con me, ci sono altre persone nella stanza, che condividono questo viaggio. Stiamo tutti sulla stessa barca. Si aggiunge a noi un altro amico, a cui viene spiegato brevemente cosa era successo fino ad allora. I dialoghi con lui suonano strani, sembra che non ci stiamo capendo. Siamo andati molto in profondità e vedere lo stato in cui anche noi eravamo poco prima, quello normale, chiamiamolo ordinario, ci lascia perplessi. Ci si rende conto della strada fatta. Di come siamo passati da un livello molto razionale ad uno molto più emotivo. Vicino a noi.

Per la prima volta molte delle parole di Marco hanno un senso. Sono vere e le vivo. Non sono solo discorsi razionali più coerenti dei miei, per quanto spesso incomprensibili. Sono in profondità, sento le cose più nitidamente, vedo meglio. Non ho una visione chiara, ma molte cose sembrano assolutamente evidenti. Le nostre richieste sono emotive, si vede. Si parla di dare e chiedere amore. Non importa quale sia il contenuto della frase. Vedo persone chiuse in loro stesse, perse nei loro pensieri, che soffrono e fanno domande razionali di cui a loro non importa nulla. Guardano nella mente, non verso il cuore. Eppure è da lì che viene la richiesta. A volte si parla di cose lontane nel tempo e nello spazio, ma la richiesta affettiva e qui, vicina e presente. Marco ascolta tutti, accoglie, parla e spiega. Varie parole in varie forme, ma ora lo vedo: sta solo dando affetto, volendo bene. Vedo i miei amici e vorrei scrollarli e dire: "No ragazzi, vi state sbagliando. State guardando da un'altra parte, vi nascondete.” Voglio, sento la necessità di condividere qualcosa con loro: "Quello che ho imparato oggi è: vogliamoci bene". Vedo che ci chiudiamo soli nei nostri castelli, pensando che se mi tengo qualcosa per me sarò più felice. In realtà stiamo sostenendo che la solitudine, la separazione, a sofferenza è bella. Ma che stiamo dicendo? No, no, no. Ci stiamo sbagliando. La sofferenza, la solitudine non ci piacciono. Guardo: Marco sta insegnando questo. Siamo alla scuola dell'ovvio. Come dei bambini il primo giorno di scuola. Non scherzo: circoli filosofici sul risveglio, complicate astrazioni mentali, dibattiti sulle differenze fra 6° e 7° piano astrale e poi l'insegnamento è "La sofferenza non ci piace, ci fa schifo, è brutta". Ma davvero stiamo valutando questo punto? Sì. Nelle parole diciamo altro ma nella pratica diciamo che la sofferenza ci piace e la libertà è brutta. Ho letto decine di libri sulla psicologia prima e sulla spiritualità e mi rendo conto che il discorso è solo questo. Che botta. Mi sento di voler dare affetto a Marco, lo voglio ringraziare. Questo non è un di più, lo sento come un aspetto fondamentale.

Mi guardo attorno e noto che siamo creature sensibili, molto più di quello che immaginavo. L'unica cosa che vedo con chiarezza è che non posso ferire un altro senza stare male io e così come non posso dare qualcosa ad un altro senza guadagnarci io. E prestatemi attenzione per favore, parliamo di emotività, di cose di cuore. Gli oggetti nella materia possono essere simboli, non ciò che è importante. Se un bambino ti regala una pietra a forma di cuore è un valore enorme, che ovviamente non è nella pietra in sé. Non faccio lo spiritualista che disprezza la materia, dobbiamo capirci, ma semplicemente sarebbe cosa ottima porre l'attenzione sul fatto che una colata di cemento non può riempire un bisogno emotivo. E come non lo fa il cemento, non lo può fare un'altra cosa materiale. Non la sto giudicando male, è proprio che non può! Io vorrei insistere su questo punto. Non che accumulare ricchezze, togliendo qualcosa agli altri (tanto per fare un esempio famoso) sia male, è che non ci rende felici. Siamo felici se condividiamo. Se ci vogliamo bene, non se ci creiamo degli idoli di metallo. Da che parte vogliamo stare? Da quella dove stiamo tutti bene e siamo felici o in quella dove ci mettiamo soli a soffrire? E non sto parlando di un discorso mentale su un "devo cercare di essere buono, di voler bene", ma di un'esigenza reale che sentiamo dentro di noi.

Un ultimo messaggio che vorrei si propagasse è che davvero non è richiesto nulla per le procedure di risveglio. Non ci servono lauree per volerci bene, è tutto molto più semplice di quello che ci immaginiamo. Avevo iniziato la meditazione pensando di andare a fare l'esperienza mistica (una cosa egoica che non c'entra nulla), invece poi ho sentito solo una forte spinta alla condivisione e all'uscire all'aperto. E se anche vogliamo rimanere chiusi in casa, non è un problema.

"La nostra volontà è santa, ma la verità è intoccabile"
(Marco Canestrari)