martedì 30 dicembre 2014

Il Presente non Conosce Colpe. In Meditazione con Marco Canestrari

DI FAUNO LAMI


Negli anni ho imparato a conoscere moltissime cose su di me, accumulando sempre più informazioni preziose. Così ora posso dire di conoscere le mia qualità, i miei difetti, i miei gusti, i miei sogni, i miei traumi e le mie paure. Ho sempre cercato di apprendere il più possibile su di me, sperando che così facendo magari un giorno sarei arrivato a sapermi proteggere da qualunque sofferenza. Dopo tanti anni quel giorno non è ancora arrivato. E intanto io accumulo. Accumulo. Accumulo.

Oggi, durante questa piovosa giornata, sono uscito a meditare con Marco al parco di Veio. Lo incontro di fronte ad una bellissima cascata, dove ci fermiamo per un attimo in un lungo silenzio, prima di iniziare a camminare. Dopo una breve passeggiata lo sento dire fra sé e sé: Io in questo momento non so chi sono”. Mi risuona subito come una frase molto strana, soprattutto detta da un maestro spirituale! Non dovrebbe forse essere lui ad insegnarci chi siamo e cosa abbiamo dentro? Continuo ad ascoltarlo. “Ora non ho alcuna certezza. Non so chi sono, cosa sono, né cosa è giusto. Perciò non posso sbagliare.” “Come no? – dico io – Se una persona non ha uno schema del giusto e dello sbagliato, sbaglierà molto di più degli altri, sarà più colpevole!Ma come fai a riconoscere un’azione giusta? mi chiede Marco “Per riconoscerla, devi per forza fare il paragone con un’azione sbagliata. Se io ad esempio aiuto una vecchietta a portare la spesa, posso definire questa azione ‘giusta’ solo paragonandola ad un’altra un po’ meno giusta, come ad esempio quella di rubarle la spesa.” Ci rifletto. Effettivamente non riesco a pensare a nessuna azione che sia assolutamente corretta, senza avere un paragone che mi faccia pensare ad un eventuale errore. “Se faccio una buona azione” continua lui “ciò implica per forza l’esistenza del male, dello sbagliato e della colpa. Noi cerchiamo di vivere facendo delle azioni corrette e ciò facendo creiamo anche l’idea delle azioni malvagie. Creiamo uno schema di pensiero in cui possiamo sbagliare e ci sforziamo di seguirlo, poiché esistono delle brutte azioni. Se io invece avessi la mente libera, se nella mia mente non ci fossero concetti di malvagità o di colpa, allora interpreterei gli stessi identici gesti con purezza, senza colpa. Stiamo permettendo al male di entrare nella nostra mente, e quindi nel nostro mondo. Perché? Vogliamo continuare a farci del male in questo modo?

Ci rifletto mentre passeggiamo sotto l’acqua tra le verdi colline di Veio e ricordo di avere spesso desiderato un mondo così. Un mondo pulito, immacolato. Un mondo di errori magari, ma senza colpa. Come se ogni sbaglio fosse visto come una leggera svista fatta sempre in amicizia, senza pesi e senza rancori. Sbagliare senza che nessuno si offenda, nemmeno noi stessi. Che assurda leggerezza.

Non soffri?” gli chiedo. “Non lo so” risponde lui ridendo “non ti dico né sì, né no, perché non ho ancora controllato. Può anche darsi, fammi vedere. No, direi di no. Non vedo nulla che possa chiamarsi sofferenza. Cosa è?” “Una cosa brutta, non te la consiglio” gli rispondo, e ridiamo. “Io qui non vedo nulla che possa chiamarsi sofferenza” mi dice “Ho il ricordo di essa. Ricordo anche di aver detto di soffrire in passato, ma ora non direi proprio.” Allora provo a spiegargliela. Gli stupri, gli scippi, l’odio, le colpe... E lentamente diventa chiaro come ogni mio dolore si basi su di un vecchio preconcetto. Infatti per ogni sofferenza devo anche inventarmi un ‘sofferente’, qualcuno che soffre. Allora devo necessariamente spiegargli anche che io mi trovo contemporaneamente in un corpo e in un’anima, che sono vivo ma potrei morire, che posso essere offeso e che il mio cuore può essere ferito. Queste sono tutte frasi in cui credo. Frasi che mi sono state ripetute e che ormai anche io mi ripeto da una vita. Ma mi rendo sempre più conto di quanto siano contraddittorie e di quanto sia difficile anche solo volerle sostenere. “Sai tante cose di te” mi dice allora Marco “Io queste cose non le so. E così a prima vista non mi sembrano neanche vere. Mi sembra più che altro una brutta storia che ti ripeti.

Marco dice di non conoscere niente, nemmeno la sofferenza. E forse è proprio per questo che può insegnare a guardare la vita come se fosse la prima volta, lasciando andare quei fardelli che abbiamo avidamente raccolto con il trascorrere degli anni e che ora, appesantendoci, ci impediscono il volo. Basterebbe capire che ciò che possiamo conoscere è esclusivamente il passato. Ed il passato, comunque lo si guardi, è sempre macchiato dalla colpa. Proprio per questo un uomo legato al suo passato porterà sempre con sé il pesante spettro della colpa. Ora però sta a noi scegliere: vogliamo confermare il nostro passato, assieme a tutto ciò che già conosciamo, oppure vogliamo rischiare un salto fuori dalla scatola, vedendo che tutto ciò che abbiamo da perdere è la nostra colpevole sofferenza? Finora l’uomo ha sempre dato una grandissima importanza alla conoscenza. Oggi più che mai risulta evidente, basta dare uno sguardo alla meccanica società che abbiamo creato. Ma forse è arrivato il momento di tirare le somme, per capire se abbiamo dato la giusta priorità alle nostre vite. Siamo avanzati tecnologicamente, sappiamo spostarci con più facilità, abbiamo cibo in quantità e viviamo in edifici altissimi. Ma siamo anche più felici? A cosa mi serve conoscere tante lingue, se non coltivo la gioia nel mio cuore? E a cosa mi servono le lauree, se non amo il mio vicino? Io e Marco ci salutiamo. Si è fatto tardi e lui deve prepararsi per il lavoro. Prima di andare via ripasso davanti la cascata e per qualche minuto lascio che il suo rumore accompagni i miei pensieri. Poi lentamente mi rimetto in viaggio verso casa.

Cosa è successo oggi? Non ho imparato nulla di nuovo su di me. Non ho acquisito conoscenza, anzi, semmai ho perso delle convinzioni false che avevo. Eppure sono più leggero. Più felice. Allora va bene così, è questa la strada che ho scelto.