giovedì 22 marzo 2012

Non Facciamo i Maestrini

DI GIANPAOLO MARCUCCI

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Qual è il primo gradino della scala che porta alla soluzione di un problema? La consapevolezza che esso esiste in quanto problema. Pensando che il gruppo di persone che frequentiamo più spesso o i contatti del nostro vicinato virtuale siano rappresentativi dell’intera popolazione di un paese, molto spesso ci illudiamo del fatto che i problemi ritenuti da questi - ed anche da noi -  come scontati, siano scontati per tutti e che chi ancora non ci è arrivato è un menefreghista o un superficiale.

In realtà, la maggioranza degli italiani ancora si informa solo attraverso la televisione che tende ad omettere tutto ciò che non favorisce il controllo economico e politico da parte di chi la possiede. Se vogliamo che percentuali sempre più alte della popolazione si impegnino nella ricerca di soluzioni a problemi comuni, dobbiamo pertanto partire da quello che è il primo passo verso la consapevolezza: l’informazione. Per strada, attraverso la rete, con qualsiasi mezzo, informare è divenuto un dovere di ogni cittadino. Ma come fare per rendere tale forma di azione civica il più efficace possibile? Come comportarsi quando si deve comunicare un qualcosa che necessita un radicale cambio di punto di vista da parte di chi ascolta? Poniamo il caso ch’io comprenda che la terra è tonda in un momento in cui tutti sono legati all’idea che questa sia piatta. Scrivere un libro sulla mia scoperta o tenere delle conferenze in cui espongo tecnicamente la mia teoria non è sufficiente. Le persone si legano emotivamente alle idee; le convinzioni e le credenze fanno parte del proprio spazio identitario e scardinarle o modificarle non è una cosa semplice e, di sicuro, non è realizzabile solo attraverso il piano intellettuale.

Bisogna agire in modo da coinvolgere le persone a cui ci rivolgiamo, creare con esse un rapporto di fiducia disinteressato, spogliarci delle divise da maestrini e impegnarci a condurle per mano in un percorso di apprendimento che sia il più possibile empatico. Per far si che più persone possibile prendano coscienza di un problema, dobbiamo innanzitutto stimolare un ambiente sereno, rassicurante e fertile al cambiamento, eliminando tutti i possibili attriti che potrebbero presentarsi. L'offesa, la provocazione, le manifestazione d’autorità, l’atteggiamento altezzoso, sono tutti elementi che frenano moltissimo la ricettività e l’apprendimento, pertanto vanno limitati il più possibile. Se io ho l’intento di informare o di educare qualcuno in merito a questioni complesse che lo riguardano da vicino o che intaccano delle sue credenze o convinzioni e nel momento in cui riscontro delle inevitabili difficoltà nel farlo dico: “Ah si? Non ci credi che la terra è tonda? Allora vai a quel paese con la tua terra piatta, io costituisco la mia cerchia di persone che mi seguono nelle mie rivelazioni e mi rivolgo a loro” sto fallendo in maniera definitiva. Quando una persona fatica a prendere coscienza, non devo rinunciare nel mio intento o dare a questa la colpa, ma devo rivedere il mio metodo d’insegnamento e le mie modalità di comunicazione.

Essere consapevoli vuol dire avere la responsabilità di aiutare gli altri a vedere meglio. Riscopriamo la bellezza dell’umiltà e cerchiamo di impegnarci in un’informazione che divenga sempre più empatica e che favorisca il più possibile la presa di coscienza. Solo così contribuiremo alla soluzione dei problemi che la nostra epoca ci pone davanti.

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